E’
iniziato il lungo iter che potrebbe portare, tra anni, alla santificazione
dell’ex presidente della Dc ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Lo scrive il
24 settembre in via esclusiva la Gazzetta del Mezzogiorno e ripreso da numerosi
giornali e canali televisivi nazionali e regionali: “Giovedì scorso il
presidente del tribunale diocesano di Roma ha dato il via libera all’inchiesta
sulla beatificazione di Aldo Moro dopo il nulla osta dato dal cardinal e
Agostino Vallini, vicario del papa, che ha indicato lo statista «servo di Dio».
Il primo a mostrarsi sorpreso dopo la diffusione della notizia è stato proprio
il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Conferenza episcopale
italiana) il quale ha poi ottenuto conferma diretta della sua veridicità.
Sorpresi anche diversi amici della famiglia del grande politico.
Per raggiungere il
risultato s’è attivata a Bari la Fondazione dei Centri studi Aldo Moro e Renato
Dell’Andro guidata da Luigi Ferlicchia, ex assessore regionale dc e fedelissimo
dello statista. Alla raccolta delle firme per la «fama di santità» hanno
aderito numerose personalità religiose e istituzionali della Puglia e di altre
regioni, tra le quali il prefetto Mario Tafaro e il sindaco Michele Emiliano,
oltre che una lunga serie di ex politici democristiani. Il Postulatore nel
«processo» è Nicola Giampaolo, uno dei pochi laici a ricoprire questoincarico.
L’assunto del Postulatore verte sul martirio di Moro, su quei 55 lunghissimi giorni di prigionia e soprattutto sull’«odium fidei», l’odio verso la fede di assassini animati da un’ideologia in guerra contro il cristianesimo. Nella documentazione non manca un «miracolo» testimoniato da monsignor Francesco Colasuonno, originario di Grumo Appula, il cardinale «in pectore» nominato da papa Wojtyla, nonché artefice dello storico incontro tra lo stesso Giovanni Paolo II e Gorbaciov. Colasuonno ricorda i giorni dell’assalto dei guerriglieri alla nunziatura apostolica in Mozambico, quel quadro di Moro appeso al muro e il conforto provato rivolgendo a lui la sua preghiera. «Ho trovato il mio santo», disse dopo essersi messo in salvo.
«La Chiesa dovrebbe preoccuparsi della causa di beatificazione di Aldo Moro», aveva detto, durante una sua omelia il vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, officiando in una cattedrale particolarmente affollata per la Domenica delle Palme. Nogaro, ricordando l'anniversario del rapimento dello statista e l'uccisione dei cinque uomini della scorta, si era chiesto «perché la Chiesa, che si preoccupa di interessarsi di altre cause ugualmente sentite, non promuove questa di «uno dei più alti esempi di misericordia». Il prelato, prossimo a lasciare per raggiunti limiti d'età la diocesi, aveva proseguito ricordando di aver conosciuto l'esponente della Democrazia Cristiana e di essere rimasto «impressionato dal particolare che ogni suo gesto fosse improntato alla solidarietà e all'uguaglianza, alla santità». «Nei giorni della sua prigionia, aveva poi rammentato, lui scriveva: «Io perdono tutti… Come Gesù, uomo di misericordia assoluta».
Accanto a quel vescovo, nei giorni del Meeting dei giovani del 2008, c’era anche Agnese Moro. Allora la figlia dello statista disse: «Per noi della famiglia è importante che sia ricordato per le sue opere, la sua figura, il suo impegno, per quello che ha dato all’Italia e ai giovani, piuttosto che conoscere le responsabilità penali di chi a quell’epoca lo abbandonò». Forse in quella frase «lo abbandonò» sta ancora uno dei misteri chiave della storia repubblicana. Ed essa spiega anche, oggi, quella secca risposta alla domanda sul processo di beatificazione: «Non ne so nulla e non mi interessa»”.
L’assunto del Postulatore verte sul martirio di Moro, su quei 55 lunghissimi giorni di prigionia e soprattutto sull’«odium fidei», l’odio verso la fede di assassini animati da un’ideologia in guerra contro il cristianesimo. Nella documentazione non manca un «miracolo» testimoniato da monsignor Francesco Colasuonno, originario di Grumo Appula, il cardinale «in pectore» nominato da papa Wojtyla, nonché artefice dello storico incontro tra lo stesso Giovanni Paolo II e Gorbaciov. Colasuonno ricorda i giorni dell’assalto dei guerriglieri alla nunziatura apostolica in Mozambico, quel quadro di Moro appeso al muro e il conforto provato rivolgendo a lui la sua preghiera. «Ho trovato il mio santo», disse dopo essersi messo in salvo.
«La Chiesa dovrebbe preoccuparsi della causa di beatificazione di Aldo Moro», aveva detto, durante una sua omelia il vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, officiando in una cattedrale particolarmente affollata per la Domenica delle Palme. Nogaro, ricordando l'anniversario del rapimento dello statista e l'uccisione dei cinque uomini della scorta, si era chiesto «perché la Chiesa, che si preoccupa di interessarsi di altre cause ugualmente sentite, non promuove questa di «uno dei più alti esempi di misericordia». Il prelato, prossimo a lasciare per raggiunti limiti d'età la diocesi, aveva proseguito ricordando di aver conosciuto l'esponente della Democrazia Cristiana e di essere rimasto «impressionato dal particolare che ogni suo gesto fosse improntato alla solidarietà e all'uguaglianza, alla santità». «Nei giorni della sua prigionia, aveva poi rammentato, lui scriveva: «Io perdono tutti… Come Gesù, uomo di misericordia assoluta».
Accanto a quel vescovo, nei giorni del Meeting dei giovani del 2008, c’era anche Agnese Moro. Allora la figlia dello statista disse: «Per noi della famiglia è importante che sia ricordato per le sue opere, la sua figura, il suo impegno, per quello che ha dato all’Italia e ai giovani, piuttosto che conoscere le responsabilità penali di chi a quell’epoca lo abbandonò». Forse in quella frase «lo abbandonò» sta ancora uno dei misteri chiave della storia repubblicana. Ed essa spiega anche, oggi, quella secca risposta alla domanda sul processo di beatificazione: «Non ne so nulla e non mi interessa»”.
L’esito tragico della parabola
personale di Aldo Moro ha lasciato l’interrogativo se, con la sua presenza, gli
eventi politici avrebbero preso una direzione differente; pur consapevoli che
la storia non si faccia con i se, abbiamo
la certezza che il contributo di Aldo Moro alla politica italiana non si è esaurito
il 9 maggio 1978, quando il suo corpo crivellato di colpi fu fatto trovare in
un’automobile, una Renault 4 amaranto,
parcheggiata simbolicamente nel centro della Roma politica.
A chi non ha avuto l’onore e il piacere di
conoscerlo e di seguirlo, così come è accaduto a noi non più giovani, la cui
figura continuiamo a ricordare e a proporre come esempio attraverso il nostro
Centro Studi che porta il suo nome, offriamo queste brevi note informative
sulla sua indimenticabile figura.
La figura di
Aldo Moro
Intellettuale e credente, Aldo Moro crebbe
nel filone della migliore religiosità cristiana meridionale. Esercitò un ruolo
di primo piano, per oltre trent’anni, nelle vicende politiche italiane, dagli
anni della Costituente fino alla sua fine tragica nel 1978.
Ebbe in vita estimatori senza riserva ed
accaniti detrattori e, anche dopo la sua morte, il suo nome è stato al centro
di infinite polemiche. Fu, comunque, primariamente
un intellettuale, che va compreso al di là del suo ruolo politico, per le caratteristiche
proprie del suo pensiero di acuto giurista e di fine interprete del suo tempo.
In politica con
uno sguardo lungimirante
Moro,
fu uomo capace di scorgere nuovi orizzonti negli scenari della politica
coniugando la dote di elaborazione culturale con l’abile predisposizione di
formule di governo.
L’apertura al Partito Socialista non partì
dalla ricerca di contiguità ideologica bensì da una scelta molto pragmatica,
che prevedeva la convergenza su alcuni punti programmatici, da parte dei
partiti alleati di governo. L’intesa con il PSI, sostenne Moro nel 1963 è “
l’unica direzione nella quale si possa guardare per la guida politica del paese
e per la difesa delle istituzioni”.
Moro ebbe a cuore anche il tema del rinnovamento morale dei partiti, non
disgiunto dalla continua rivendicazione della loro centralità democratica.
La teorizzazione della terza fase della politica italiana: a
partire dal 1976, Moro aveva aperto una riflessione che non riuscì a
concludere, la cui interpretazione è rimasta aperta.
Docente e pubblicista, ha al suo attivo
numerose pubblicazioni, che contengono significative analisi sui momenti
salienti della vita politica italiana degli ultimi decenni. Non sfuggono alla
sua indagine attenta, i segnali che anticipano l’affacciarsi nell’intreccio
degli eventi della politica, di nuovi cicli.
Nei suoi scritti non ha mancato di
analizzare l’apporto delle maggiori personalità politiche del dopoguerra alla
storia del nostro paese.
È straordinario il valore simbolico che questo processo di canonizzazione
assume, a fronte delle cronache in arrivo dai palazzi regionali o nazionali del
potere. Poter individuare virtù eroiche in un politico contribuisce a
riscattare l’intera politica dal precipizio in cui si è cacciata: incoraggia a
scegliere meglio, a individuare meglio i rappresentanti cui affidarci, ad agire
sempre ognuno per il bene comune nonostante le tentazioni e gli appetiti
possibili.
La strada aperta per la santità,
o giù di lì, da un lato esalta il politico in questione e dall’altra affossa
definitivamente un’intera classe di pubblici amministratori che andrebbe
rottamata più per il suo degrado etico e valoriale che per il suo dato
anagrafico.
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