martedì 28 giugno 2011

VITO DE LEO

IL BULLISMO

PROFILI – RIFLESSIONI - PROPOSTE

Ricerca sui comportamenti antisociali in alunni di scuola dell’obbligo.

Come rispondono scuola, famiglia, società e istituzioni?




LE FIGURE DI RIFERIMENTO CHE ESERCITANO MAGGIORE FASCINO SUGLI ADOLESCENTI SONO QUELLE “VIZIOSE”.

PARIMENTI I COMPORTAMENTI TRASGRESSIVI HANNO UN POTERE SEDUTTIVO. LA RAGIONE PROFONDA CHE LI INDUCE A VIOLARE LE REGOLE RISIEDE NELLO SVANTAGGIO RELAZIONALE SOPRATTUTTO TRA GENITORI E FIGLI, CHE OGGI TAGLIA TRASVERSALMENTE TUTTE LE FASCE SOCIALI. I RAGAZZI SONO INTERESSATI A CAPIRE COME VIVERE MEGLIO E COME COSTTRUIRE POSITIVAMENTE IL LORO FUTURO. MA HANNO BISOGNO DI GUIDE EDUCATIVE SICURE E DI CODICI AFFETTIVI VALIDI.





NOTA DEI COLLEGHI DOCENTI

Il presente lavoro di ricerca realizzato dal prof. Vito De Leo nel suo ruolo di docente e di psicopedagogista nella Scuola media “Moro – Fiore” di Terlizzi, rivolto ad insegnanti, genitori e ragazzi, frutto dell’esperienza decennale in interventi per la conoscenza e la riduzione del fenomeno del bullismo, maturati sul campo con attività di ricerca, corsi di formazione per insegnanti e percorsi con le classi della scuola dell’obbligo, contiene consigli chiari e mirati su come procedere nella costruzione di progetti di prevenzione primaria, su come affrontare le situazioni a rischio e come gestire quelle in cui i problemi già si presentano con una certa gravità.

Nella prima parte si analizza in modo rigoroso e puntuale il bullismo in tutte le sue forme: fisiche, verbali, psicologiche e indirette, fino alle più recenti manifestazioni di bullismo elettronico.

La seconda tratta delle strategie e degli obiettivi degli interventi di contrasto.

La parte conclusiva, infine, propone una serie di consigli pratici e di questionari rivolti ai principali attori del possibile cambiamento, partendo dall’assunto che un’efficace azione di prevenzione e di contatto debba riconoscere i potenziali rischi del fenomeno sin dagli anni dell’infanzia, e saper distinguere con chiarezza il bullismo dalla normale conflittualità sociale.

Siamo grati al nostro collega per il prezioso ausilio pedagogico e didattico di cui abbiamo potuto fruire in tanti anni di costruttiva collaborazione e che ci auguriamo possano goderne in eguale misura i futuri lettori del libro messo a disposizione di tutti.

I colleghi della Scuola media “Moro-Fiore” di Terlizzi

PRESENTAZIONE

Un programma operativo di intervento di lotta al bullismo si pone ormai in termini di priorità e di necessità, considerato che gli alunni vittime del bullismo rappresentano un fenomeno marcato e, in taluni casi, addirittura preoccupante.

E’ però necessario che tale programma, oltre che correttamente impostato, possa essere reso concretamente attuabile attraverso l’indicazione di procedure metodologiche, didattiche e di ricerca di tipo innovativo ed il richiamo ad un più puntuale rispetto delle norme giuridiche e amministrative che regolano l’istituto dell’obbligo scolastico.

Dare segnali e lanciare messaggi per determinare, intorno al problema del bullismo, convergenze propositive e operative degli enti e delle istituzioni comunque interessati a dare risposte adeguate alla richiesta di uno sforzo cospicuo e solidale in direzione del “recupero” dello svantaggio socio-culturale, del disadattamento scolastico, della devianza minorile, del bullismo, costituisce indubbiamente una premessa indispensabile, ma non certamente esaustiva per combattere le cause che determinano gli atti di sopruso.

E’ infatti, nel contempo, indispensabile che nella scuola vengano create le condizioni funzionali al reinserimento e al recupero dell’alunno disadattato.

Ciò significa che la vita scolastica non deve essere percepita e subita come passiva obbedienza a un ordine formale o a un’ingiunzione di cui egli continua a ignorare motivazioni e finalità.

Attraverso una fase d’integrazione, probabilmente lunga e difficile, bisogna approdare all’obiettivo di coscientizzare alla vita scolastica come accettazione consapevole e responsabile di un dovere ma anche come pieno e totale esercizio di un diritto.

L’inserimento forzato nel contesto scolastico, può, in assenza di ciò, equivalere ad una vera e propria coercizione subita con rabbia e perciò tradursi in continue azioni di disturbo verso la scolaresca e l’insegnante, complicando ulteriormente un lavoro già abbastanza delicato.

Il contesto scolastico deve dunque essere “adattato” ai disagiati, e, quindi, opportunamente predisposto alla fase di accoglimento, prima; a quella della reintegrazione e del pieno recupero, dopo.

Si tratta sicuramente di aspetti che saranno affrontati e chiariti in sede di attuazione dei corsi di aggiornamento che le scuole, d’intesa con gli Assessorati comunali, provinciali e regionali alla Pubblica Istruzione e ai Servizi Sociali hanno sicuramente già progettato.

In proposito, non si può non sottolineare che il fenomeno del bullismo è particolarmente consistente nella scuola media di primo grado, nella quale, in alcune realtà, si registrano percentuali superiori al 10%.

L’annotazione assume uno spessore notevole di significatività e di emblematicità quando si considera che l’età della preadolescenza appare la più esposta al rischio di un rapporto perverso tra svantaggio socio-culturale e disadattamento scolastico e perciò tra insufficiente alfabetizzazione, emarginazione sociale, inadempienza e devianza minorile.

La scelta di privilegiare la scuola media come settore in cui concentrare la ricerca sul tema del bullismo non è stata perciò occasionale e del tutto casuale, ma intenzionale e consapevole, poiché al suo interno continua a proporsi e, spesso, in maniera crescente, l’effetto negativo di “ricaduta” dello svantaggio in termini di ripetenze e abbandoni, e quindi di probabile emarginazione sociale e di devianza.

Proprio in previsione di tali situazioni è stata approntata questa raccolta di documenti, che assume perciò il valore e la connotazione di strumento pratico di consultazione per gli operatori sociali, della scuole e delle famiglie.

PREFAZIONE

L’obiettivo di questo lavoro è quello di descrivere, osservandolo da vicino, un fenomeno che negli ultimi anni sta catturando l’attenzione sia dell’opinione pubblica che degli studiosi: il bullismo, una manifestazione di disagio e di violenza con caratteristiche ben precise.

La letteratura sull’argomento, a partire da Dan Olweus, psicologo norvegese che per primo se ne è interessato, ha definito con dovizia di particolari gli spetti peculiari del bullismo, innanzitutto considerandolo come fenomeno di gruppo ed in questo differenziandolo quindi dalle prepotenze a carattere individuale o dai litigi tra coetanei.

La gravità del bullismo risiede nella continuatività degli episodi a danno di una o più vittime, che subiscono inermi, e nella chiara intenzionalità di fare del male attraverso varie modalità di tipo diretto o indiretto, fisico o verbale, che variano a seconda del genere e dell’età dei protagonisti.

Gran parte degli studiosi che si sono interessati empiricamente al bullismo hanno un’impostazione psico-pedagogica; dal punto di vista sociologico negli ultimi anni c’è stato un discreto sviluppo di ricerche riguardanti la qualità della vita dei giovani, ma quasi nulla su quella fase della vita a cavallo tra l’infanzia e la giovinezza, la cosiddetta preadolescenza, compresa tra i 9 e i 14 anni.

Nella frenetica era postmoderna del consumismo e della globalizzazione stiamo assistendo ad un crollo dei tradizionali modelli valoriali comuni sostituiti da un’individualizzazione esasperata. Di quest’epoca di incertezze e repentini cambiamenti risentono molto i preadolescenti e gli adolescenti, i quali sono alla continua ricerca di sicurezze e stabilità per contrastare la natura instabile e in via di formazione propria della loro condizione.

Da questo presupposto parte lo studio empirico sul bullismo fatto dalla professoressa e ricercatrice universitaria Stefania Vergati dal quale ho tratto spunto per il mio lavoro sperimentale.

La teoria a cui si rifà la mia ricerca fa risiedere le cause della diffusione crescente degli episodi di bullismo nella “socializzazione disadattate” attuata da diversi agenti quali la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari.

Lo studio si sofferma in particolare sul peso che possono avere, nello sviluppo dei fenomeni di prevaricazione, stili educativi familiari autoritari o al contrario eccessivamente lassisti, clima familiare e scolastico caratterizzati da anomia relazionale e normativa e coinvolgimento dell’intero gruppo scolastico.

Per verificare se ipotesi e risultati relativi alla ricerca condotta dalla Vergati a Roma potessero essere validi anche in un contesto sociale completamente diverso quale quello di un paese della provincia di Bari, ho condotto una ricerca sperimentale, sottoponendo a 200 alunni di scuola elementare e media del Comune di Terlizzi, un questionario strutturato. In seguito, all’analisi multidimensionale delle risposte degli intervistati ho comparato i risultati delle due ricerche al fine di comprendere se e come cambiano le dinamiche sottese alla diffusione del bullismo in relazione al fattore territoriale.

L’AUTORE

Vito De Leo è nato a Terlizzi e dal 2003 risiede a Corato. Laureatosi all’Università di Bari in Pedagogia, ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento di Materie letterarie nella Scuola media e l’abilitazione all’insegnamento di Scienze umane e Storia nei Licei. Ha prestato servizio di ruolo nelle scuole elementari e nelle scuole medie in qualità di docente di materie letterarie fino all’a. s. 2003.

Dall’a. s. 1993/94, con nomina del Provveditore agli Studi di Bari, è stato utilizzato nel ruolo di operatore psicopedagogico.

E’autore di diversi progetti contro la dispersione scolastica e per il recupero dei soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose redatti ai sensi della legge 19/7/1991 n. 216.

Ha raccolto le sue esperienze didattiche e le sue riflessioni pedagogiche in diversi testi di metodologia dell’apprendimento e dell’insegnamento: “Il mestiere di studente”, “Percorsi di educazione linguistica”, “Problematiche scolastiche: il rapporto scuola-famiglia”, “Problemi di educazione integrale”, “Studenti e insegnanti in una scuola rinnovata”, “Strutture democratiche della scuola: la scuola aperta”, “Motivi per cui la suola può farsi centro delle nuove tecnologie e dell’istruzione programmata”.

Nella veste di amministratore comunale e di pubblicista non ha mai fatto mancare il suo concreto contributo alla soluzione dei problemi socio-culturali della sua città e del rapporto scuola-famiglia-istituzioni.

Le sue esperienze politico-amministrative e socio-culturali sono state raccolte in una voluminosa rassegna stampa, parte della quale è visibile anche nel suo blog www.comunepartecipato.blogspot.com.

IDEE E PROGRAMMI PER UNA TERLIZZI MIGLIORE

Dopo una consultazione referendaria, che ha visto impegnate moltissime persone, si pone ora la necessità di varare e di aderire a progetti aggreganti, solidali e trasparenti, ricercando sinergie e momenti di coinvolgimento dei cittadini, per puntare insieme allo sviluppo dell’intero sistema territoriale.

Il messaggio che gli elettori del referendum hanno massicciamente voluto dare ai governanti di tute le istituzioni è stato chiarissimo: la politica non può restare un affare gestito da pochi professionisti, le istituzioni non possono più continuare ad essere rivolte più alla mediazione degli interessi privati che alla tutela del bene comune mentre i problemi delle città si aggravano: casa, disoccupazione, ambiente, criminalità, ecc.ecc.

E’ giunto il momento di percorrere una strada nuova di radicale trasformazione: la politica si riapre ai cittadini, le istituzioni diventano luogo di raccordo e di soluzione dei bisogni comuni, i problemi sono affrontati con creatività e progettualità.

Ma perché ciò avvenga gli organismi elettivi dovranno concepirsi come luogo privilegiato di relazioni, piuttosto che di conflitti, dovranno essere cardine di un contesto urbano più ampio, in grado di sostenere e valorizzare il reticolo delle realtà associative, razionalizzando l’assetto del territorio e promovendo dal basso la programmazione comunale.

A Terlizzi, in particolar modo, occorre rafforzare il punto di saldatura, sempre fragile ed insidiato dalla visione monocratica degli amministratori comunali, tra società civile e amministrazione comunale, per reggere all’ urto delle scelte difficili che attendono la città nel prossimo futuro.

Bisogna, allora, cambiare strada. Insieme. Quando una casa è pericolante tre sono le cose da fare: stendere un progetto di risanamento, chiamare gli operai, reperire soldi e strumenti. Occorre, perciò, ripensare in termini nuovi lo sviluppo della città.

Per raggiungere questi obiettivi il Consiglio comunale, prendendo le mosse dalla discussione sul bilancio di previsione 2011 e sul Piano triennale, dovrà pianificare in modo strategico le infrastrutture essenziali, sostenere lo sviluppo locale, integrando le vocazioni produttive territoriali, stimolare l’innovazione dei processi produttivi, valorizzare le risorse umane, puntare su nuovi settori di sviluppo.

Il progetto che immaginiamo è quello di una città dove sia possibile per tutti lavorare, trovare una casa, socializzare la vita, andare a piedi senza timori per la salute. Sì, se capiamo che l’unico sviluppo stabile è quello che convive armoniosamente con l’ambiente. Dunque, un progetto che punti all’occupazione e allo sviluppo delle risorse del territorio. Se è vero che l’Amministrazione comunale non ha molti spazi d’intervento diretto, può però promuovere azioni di sviluppo economico, oltre a predisporre le infrastrutture di base che agevolino lo sviluppo di iniziative imprenditoriali (vedi patti territoriali, contratti d’area, ecc.). Solo da un forte rilancio del ruolo di stimolo (e non tanto di gestione) della Civica Amministrazione potrà derivare un impulso all’economia cittadina e quindi di occupazione.

Gli operai sono tutti i gruppi di base e i nuovi movimenti politici, quei partiti politici che hanno con coraggio “osato” un radicale rinnovamento, le realtà socio-economiche sane, i gruppi di volontariato, le associazioni ambientaliste, i giovani e le donne, gli operatori sociali e animatori culturali, responsabili e gruppi della comunità ecclesiale che, insieme, disinteressatamente sono stati portatori di valori comuni di un alta progettualità politica. .

Gli operai sono tutti i professionisti, intellettuali, docenti, piccoli e medi imprenditori, impiegati, operai, artigiani, commercianti, agricoltori, floricoltori, ceramisti, che hanno fatto con competenza ed onestà il proprio lavoro senza scendere a compromessi con il potere.

Gli operai sono, allora tutti coloro che hanno pagato sulla propria pelle i guasti delle scelte clientelari, delle ingiustizie e che sono stati ridotti alla sfiducia e all’impotenza o anche alla protesta o all’impotenza o anche alla rabbia e alla protesta. Un grande potenziale di intelligenza, professionalità, passione politica, moralità, ansia di giustizia in cui l’ Amministrazione comunale dovrebbe riporre la propria fiducia, se non vuole far incrementare ulteriormente le fila del “partito del non voto”.

I soldi della casa della città sono sempre più i soldi di tutti i cittadini. E per questo va riconosciuto ad essi il diritto – dovere di partecipare alle previsioni di spesa e di essere informati sulle scelte effettuate. Con questa Amministrazione, da anni, invece, è invalsa la deprecabile abitudine di ridursi sempre all’ultimo momento per deliberare i bilanci di previsione. Viene meno così per i cittadini, le realtà economiche e la Consulta delle Associazioni ogni possibilità di proposta e d’intervento, in dispregio, tra l’altro, anche delle norme statutarie che disciplinano gli istituti di partecipazione. Non è sufficiente affermare che le risorse sono assai limitate e che è giunto il momento di amministrarle con rigore, saggezza ed equità. La casa comune non si ripara delegandone la cura a pochi soggetti, ma allargando gli spazi di democrazia.

E poi gli strumenti. Anzi, lo strumento. Quello unico, centrale è la macchina amministrativa e burocratica. Uno strumento che non nasconda agli sguardi le ombre, ma concorra, insieme ai cittadini, a rendere visibile, cioè ordinata e armonica la vita comune. Uno strumento di servizio efficiente perché risolve efficacemente i problemi, e solidale perché realmente al servizio della città.

Ma un altro strumento deve assolutamente entrare in funzione al più presto: lo Statuto comunale. Che va però prima revisionato e poi regolamentato. Non solo per adeguarlo alle nuove leggi comunali, ma per inserire tutte quelle norme che permettano ai cittadini di intervenire direttamente nelle decisioni del Comune.

Una delle sfide più grandi è proprio questa: un’ istituzione e una città che funzionino, che stiano lontane dalle deleterie pratiche delle lottizzazioni politiche, che impediscono la stabilità del governo cittadino. Un Comune, insomma, che sia amico delle organizzazioni sociali, culturali ed economiche locali, che sappia essere effettivamente “sussidiario”, cioè capace di sostenerne il cammino e conquistare la fiducia dei cittadini, diventando centro di formazione e di informazione per tutti.

Abbiamo bisogno di un Comune che regoli, senza ostacolare, la gestione del territorio: tempi rapidi per la pianificazione urbana; norme snelle e certe per la tutela del paesaggio, procedimenti chiari per le autorizzazioni.

La voglia di scommettere sulle nostre forze e sulle nostre idee è la migliore garanzia di successo del nostro progetto di contribuire alla nascita di una nuova città, costruita sull’impegno e la partecipazione dei cittadini, con il cemento della solidarietà e della cultura, con l’attenzione delle forze politiche e l’ascolto del Consiglio comunale, del Sindaco e dell’intera Amministrazione comunale.

domenica 26 giugno 2011

PROPOSTA D’ISTITUZIONE E DI REGOLAMNTAZIONE DEL BILANCIO PARTECIPATIVO

Neanche nel 2011, nonostante le numerose sollecitazioni effettuate nel corso degli otto anni di amministrazione Di Tria, ci è stata concessa la possibilità di di vedere realizzato il cosiddetto “Bilancio partecipativo”, inteso come strumento di trasparenza, relazione e comunicazione tendente a concretizzare e connotare un innovativo rapporto tra il Comune e il cittadino.

Più volte, anche nella mia veste di presidente della Consulta delle Associazioni, ho sollecitato l’Amministrazione comunale ad adottare questo strumento in cui la politica si fa incontro, ascolto, ma soprattutto azione diretta, partecipazione autentica che consente ai cittadini di scegliere come e dove investire le risorse del proprio Comune.

Premesso quindi che il Bilancio Partecipativo è una forma di partecipazione diretta dei cittadini alla vita della propria città al fine di contribuire alla elaborazione della politica municipale, si devono attivare al più presto “laboratori urbani”, in cui vengono recepiti bisogni ed esigenze del territorio, valorizzandone al contempo proposte, risorse e potenzialità, afferenti tematiche importanti, quali, vivibilità urbana, ambiente, lavoro, emergenze sociali, politiche giovanili, sicurezza, sviluppo economico, più o meno come si è tentato di fare con il PIRP e il R.U.LAB.

Tale idea trae origine da un insieme ordinato di norme e procedimenti (articoli da 6 a 10 del D.Lgs. 267/2000; Direttiva del 17/2/2006 del Ministero della Funzione Pubblica relativa alla rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche; Istituti di partecipazione previsti dallo Statuto comunale; e dal fatto che il Federalismo municipale propone nuovi modelli di partecipazione, alternativi agli attuali, essendo considerato non solo come autonomia, ma soprattutto come autogoverno reale;

Considerato che concertazione e partecipazione sono le parole d’ordine di un progetto di governance del territorio che si può realizzare solo se, ognuno per la sua parte – attori istituzionali, sociali e cittadini – contribuisce con idee e suggerimenti alla vita pubblica, anche mediante sondaggi, forum e news letter sul web; si ha, in tal modo il superamento della prospettiva piuttosto riduttiva dei solo criteri di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa

Condividere i problemi, le opportunità e le scelte con i cittadini per meglio rispondere alle necessità ed alle esigenze della comunità significa, pertanto, promuovere un’idea forte e coinvolgente di cittadinanza che include anche chi abitualmente non partecipa alla vita politica della città, come i giovani, le donne e gli stranieri.

Invitiamo, a tal fine, il Consiglio comunale a: 1) prendere atto, quali parametri di riferimento, delle “Linee – guida per la rendicontazione sociale degli Enti locali” dell’Osservatorio per la Finanza e la contabilità degli Enti locali; 2) definire il percorso di perfezionamento del bilancio sociale che prevede, tra l’altro, la costituzione di un gruppo di lavoro interno all’Amministrazione; 3) coinvolgere tutti i soggetti portatori d’interesse prima e durante la presentazione della bozza di bilancio, la stesura finale, con l’approvazione la comunicazione; 4) dare mandato alla Commissione consiliare preposta di regolamentare e inserire nello Statuto comunale prevedendo: a) l’obbligo di adozione del bilancio partecipativo aperto a tutti i cittadini residenti, italiani e stranieri, che nell’anno corrente compiano i 16 anni di età e che lavorano in città; b) l’inizio a maggio e fine a dicembre. In questo modo le priorità emerse verranno inserite nel bilancio previsionale dell’anno immediatamente seguente; c) suddividere il territorio comunale in quattro quartieri, individuati considerando lo sviluppo storico, sociale ed urbanistico, in ognuno dei quali dovrà tenersi un’assemblea propositiva, seguita da almeno due a carattere tematico; d) al termine di questa prima fase, dovranno essere previsti i tavoli di fattibilità, che hanno lo scopo di analizzare ogni singola proposta dei cittadini dal punto di vista tecnico ed economico e di stabilirne la fattibilità tenendo conto del quadro di riferimento normativo e delle risorse finanziarie disponibili; e) l’ultima fase dovrà essere quella delle assemblee deliberative nelle quali dovranno essere messe in votazione le proposte delle priorità indicate dai cittadini.

Concludendo, le forme e i modi suggeriti sono in ogni caso suscettibili di correzione e integrazione, anche alla luce delle verifiche condotte sul campo. Resta ben salda, in ogni caso, la distinzione dei ruoli tra amministratori e cittadini. L’intenzione è e resta quella di creare un comune sentire tra governati e governanti sui problemi più sentiti e sulle possibili soluzioni. L’obiettivo dichiarato è coinvolgere un numero sempre maggiore di persone rispetto agli scorsi anni e comprendere così le vere esigenze dei cittadini.

Ai partiti la nostra Carta costituzionale affida la funzione di formazione e orientamento della pubblica opinione, nonché di mediazione fra la comunità dei cittadini e le istituzioni; a queste ultime affida le responsabilità di governo. Riconoscere e rispettare questo ruolo dei partiti e delle istituzioni non significa, però, che i cittadini e, in particolare, le molteplici formazioni sociali in cui si esprime la società civile, debbano delegare loro ogni decisione di rilevanza collettiva, limitandosi poi a valutarla periodicamente nel segreto dell’urna elettorale.

La società civile può e deve collaborare con i partiti e le istituzioni anche nella formazione delle scelte di governo, deve far sentire la propria voce, specie nelle decisioni di maggior impatto sociale, come appunto la redazione del Bilancio di previsione, del Piano Urbanistico generale (PUG), del Programma Integrato di Riqualificazione delle Periferie (PIRP), del Piano Urbano del Traffico (PUT), delle politiche ambientali, dei Servizi sociali, culturali e giovanili, del Progetto di Rigenerazione Urbana (R.U.LAB), unico attualmente nel suo genere partecipativo, grazie all’Assessorato al Lavori Pubblici e alla Società cooperativa R&S, recentemente fatto oggetto di consultazione sia dagli studenti che dalle associazioni cittadine.

Quello che insistiamo a proporre, insomma, in coerenza con gli istituti di partecipazione dello Statuto comunale, è la costituzione di un “laboratorio urbano”, che faccia proprio il motto “Una città per tutti”, formato da cittadini stanchi di lamentarsi della bassa qualità della vita e di contestare l’inerzia delle istituzioni, la chiusura dei partiti ad un reale rapporto con la cittadinanza attiva, finalmente desiderosi di uscire dalla condizione di dipendenza, superficialità, qualunquismo, deresponsabilizzazione e disaffezione alla politica.