domenica 14 marzo 2010

L’ASTENSIONISMO SI VINCE SOLO CON UN NUOVO PATTO DI FIDUCIA

Credo che mai come ora, che ci accingiamo ad inserire ancora una volta la scheda elettorale nell’urna per l’elezione del Presidente e del Consiglio regionale, sia necessario riflettere sul nostro diritto-dovere di elettori.

Perché è importante partecipare alla vita politica? La domanda è stata formulata dall’Istat nella rilevazione sulla “partecipazione politica” degli italiani, i quali in grande maggioranza si sono dichiarati lontani dalla politica perché sfiduciati. Circa due terzi di chi non s’informa di politica (66,4%) sono motivati dal disinteresse, un quarto (24,8%) dalla sfiducia nella politica. Il 13,8% considera la politica troppo complicata e il 6,% non ha tempo da dedicarvi.

Le donne esprimono più degli uomini, tra le motivazioni, il disinteresse e il linguaggio troppo complicato; gli uomini più delle donne il non avere tempo e la sfiducia nella politica. La mancanza d’interesse è particolarmente diffusa tra i giovani fino a 24 anni (oltre il 72%).

Questi dati confermano la progressiva disaffezione dei giovani e dei meno giovani dalla politica. Forse, è un allontanarsi dalla politica delle promesse e delle parole. E ogni qualvolta vi sono elezioni nell’aria, sono molti i Cittadini che si domandano: “perché devo andare a votare?”, “Per chi devo votare?”, “tanto non cambia nulla: quelli sono uguali agli altri”.

Riflettendo, si resta incerti se dare ragione a quanti la pensano così o se è più forte il convincimento sulla validità, di ottemperare, sempre e comunque, non solo ad un diritto individuale e collettivo, ma anche ad un dovere morale e civico, quale forma di partecipazione alla democrazia, per la quale tanti Italiani, come il nostro indimenticabile Maestro on.le Aldo Moro”, di cui in questi giorni ricorre il 32° anniversario del rapimento, seguito dall’uccisione avvenuta ad opera delle brigate rosse il 9 maggio dopo 55 tragici giorni di prigionia.

A fronte di un periodo di forte impegno politico, dal dopo guerra agli anni settanta-ottanta, si è passato, oggi, ad una decadenza delle ideologie tradizionali, con conseguente stato confusionale e di incertezza tra molti elettori che, persi i puniti di riferimento, preferiscono non andare a votare. A che serve andare a votare? È la domanda ricorrente. Serve a prendere posizione, perché la forma di partecipazione alla vita sociale e democratica passa attraverso una personale decisione. E allora, quelli che non votano per paura di compromettersi, di confrontarsi, che restano alla finestra senza mai scendere in campo? Anche questa è una legittima scelta che, però, non dà diritto a di giudizi o di condanne per chi ha fatto scelte diverse, votando secondo un interesse particolare, teso ad ottenere qualcosa, o perché allettato da promesse. Questo spinge alcuni ad assumere comportamenti adulatori nei riguardi dei “potenti”, che poco prima avevano vilipeso e crocifisso. Insomma, manca, a volte, la coerenza, per cui chi mangia nel piatto del padrone di casa, non può, dopo, dire di lui peste e corna.

La democrazia è bella e va accettata non solo quando ci fa comodo. Un anzi anodi un paese vicino, un giorno disse parlando di politica: “Figlio mio, ogni paese tiene il Sindaco che si merita” e il Sindaco sta a significare l’espressione la volontà di un’intera comunità.

La saggezza del Vecchio evidenziò anche il problema più drammatico: l’assenza di un ricambio generazionale, a cui lasciare l’arduo compito di dirigere, in meglio,i nostri Comuni, la nostra Regione e la nostra Nazione.

Andiamo a votare, quindi, per non negarci la possibilità di essere protagonisti della crescita civile del nostro territorio.

Le buone ragioni per adempiere a questo diritto-dovere sono tantissime, ma ci limitiamo ad indicarne soltanto una decina, lasciando ai lettori il piacere di inserirne altre.

Andiamo a votare perché il voto è uno dei pochi strumenti che abbiamo per scegliere. Andiamo a votare perché anche se sono molti quelli che dicono “sono tutti uguali” non è vero. Andiamo a votare perché in Regione si decidono molte leggi che condizionano le Province, i Comuni e i Cittadini organizzati e non. Andiamo a votare per non consegnare l’Italia ad una singola persona. Andiamo a votare perché, anche se gli ideali stanno venendo meno, c’è sempre chi può rappresentarli. Andiamo a votare perché solo se li voti puoi esigere da chi ti rappresenta. Andiamo a votare perché lo strapotere televisivo non deve essere tutto. Andiamo a votare per cambiare in meglio. Andiamo a votare contro chi sa fare solo della grande demagogia, ma non risolve nulla. Andiamo a votare perché crediamo nella Costituzione, nella democrazia e, nonostante tutto, ancora nei partiti…. Se volete, continuate voi.

sabato 13 marzo 2010

ELEZIONI REGIONALI: LETTERA APERTA AI CANDIDATI

Ill.mo candidato, consentimi di rivolgerti innanzitutto un ringraziamento per il servizio che hai intenzione di svolgere in favore dei cittadini della Puglia e del nostro territorio, perché considero preziosa l’opera di chi, come ha avuto modo di fare il sottoscritto in passato, per servire i cittadini intende assumersi il non lieve peso della responsabilità amministrativa.

Ma sento anche il dovere di evidenziare, unitamente agli amici del Centro Studi Politici “A. Moro”, che nessuno dei tanti candidati in lizza ha ricordato che sono trascorsi 32 anni dai tragici avvenimenti iniziati il 16 marzo 1978 con l’uccisione della scorta ed il rapimento dell’on. Aldo Moro, poi ucciso dopo 55 giorni di prigionia il 9 maggio. Un dramma i cui segni sono ancora profondamente incisi nella coscienza di ciascuno di noi, oltre ai suoi insegnamenti sulla politica, sempre intesa come capacità di capire, interpretare i tempi nuovi e costruire una risposta, anche percorrendo sentieri inediti. Ogni faziosità fu sempre estranea al suo temperamento e, più ancora, alla sua idea dell’Italia e della sua cara Puglia.

Progetti e idee che prescindevano dai disegni personali, dalle convenienze del momento, dalle strategie di palazzo. Il senso del rispetto dell’altro, la logica dell’inclusione, del “noi” e non solo dell’”io”. In un tempo in cui la memoria rischia i perire sotto i colpi della velocità che annienta il passato per esaltare le piccole vicende quotidiane, tocca ai politici ed alle istituzioni conservare il ricordo di coloro che si sono battuti per la democrazia e la pace.

Forse più che “commemorare” Moro, urge scoprirlo per chi non l’ha mai conosciuto o “riscoprirlo” per chi l’ha dimenticato.

Mi sono chiesto più volte cosa avrebbe pensato o fatto Moro se fosse stato ancora tra noi. Me lo sono chiesto non tanto per curiosità intellettuale, ma perché è mancata in questi anni un’accurata riflessione su quegli aspetti della politica contemporanea che possono collegarsi in qualche modo al suo pensiero e alla sua vicenda politica. Ritengo che la “voce” di Moro vada oltre la contingenza politica di ogni tempo e la vicenda elettorale di questi giorni e si sostanzi essenzialmente di categorie di metodo che hanno le seguenti valenze. La politica sull’analisi e la comprensione dei processi umani e della loro evoluzione; il progetto come sintesi di aspirazioni e vocazioni della società, da guidare con tatto e discrezione; il dialogo, il confronto e la mediazione alta come strumenti delle dinamiche sociali, da esercitare senza mai recedere dai propri principi, senza però farli diventare un limite o un ostacolo verso l’altro; l’unità delle compagini fondata sulla ricerca di forti volontà comuni; la laicità nel pensiero e nella parola come scrigno entro il quale tenere vive le radici spirituali della propria ispirazione, mai ritenute come l’ultima verità. “Noi non siamo chiamati a far la guardia alle istituzioni, a preservare semplicemente un ordine rassicurante. Siamo chiamati, invece, a raccogliere, con sensibilità popolare, con consapevolezza democratica, tutte le invenzioni dell’uomo nuovo”.

La nostra gente è stanca di sentire grida, accuse, polemiche. Vuole ascoltare argomenti convincenti e soprattutto vuole essere convinta che quelli che ambiscono a vincere siano persone sagge, pazienti, esperte e soprattutto oneste e sempre disponibili all’ascolto.

Il periodo elettorale deve essere una scuola per tutti, partiti e popolo, elettori ed eletti “Il potere conterà sempre meno, conterrà di più una parola detta discretamente, rispettosa e rispettabile”.

Mi auguro, pertanto, caro candidato che, come prescrive la Costituzione all’art 67, nelle istituzioni democratiche tu dovrai rappresentare non te stesso o i tuoi elettori, ma la comunità intera. Mi auguro che tu voglia essere rappresentante di noi cittadini solo ed esclusivamente per consolidare il bene comune, elevandone i livelli di concretezza ed effettività. Spero che continuerai a vivere con la gente ed a comunicare con la gente: farci capire che stai effettivamente lavorando a nome e per conto di chi ti ha eletto, ma anche di chi non ti ha eletto. La persona umana, con la sua inalienabile dignità, sia l’inconfondibile protagonista del tuo impegno politico.

lunedì 8 marzo 2010

Il Piano Sociale di Zona non è ancora partito

Il secondo Piano Sociale di Zona 2009-2011, redatto dal Coordinamento Istituzionale e dalla Conferenza Intercomunale dell’Ambito territoriale n. 3, comprendente i Comuni di Corato (capofila), Ruvo di Puglia e Terlizzi, ha concluso il suo processo programmatico. Dopo sette incontri, tenuti nel mese di ottobre nella Biblioteca civica di Corato e la conferenza di concertazione generale del 21 dicembre scorso, in cui gli Assessori ai Servizi Sociali Franco Caputo, Irene Turturo e Santina Mastropasqua hanno illustrato lo schema di Piano, i rispettivi Consigli comunali hanno deliberato, all’unanimità, subito dopo, questo importante strumento di pianificazione delle politiche sociali. Non tutti però, sono a conoscenza che si tratta di un progetto che individua gli obiettivi e le priorità d’intervento, le modalità organizzative dei servizi e delle risorse necessarie al loro funzionamento, le modalità per l’integrazione e il coordinamento del sistema dei servizi e degli interventi sul territorio rappresentato dal Distretto socio-sanitario n.3.

Ai diversi tavoli tematici avrebbero dovuto partecipare, ai sensi della L.R. n.19/2006, art. 4, i rappresentanti di enti pubblici, organizzazioni sindacali, organismi di rappresentanza di volontariato e delle cooperazione sociale, ordini e associazioni professionali, associazioni di categoria, associazioni delle famiglie e singoli utenti dell’Ambito. Spiace ricordare, però, che soltanto alcuni soggetti, nonostante la grandissima importanza sociale del documento che è stato trasmesso alla Regione Puglia per i necessari finanziamenti, hanno raccolto l’invito degli amministratori comunali.

Evidentemente, gli argomenti che sono stati trattati dai pochi addetti, tra i quali il sottoscritto, nella veste di presidente della Consulta delle Associazioni del Comune di Terlizzi, non riscuotevano l’interesse della cosiddetta “società civile”.

Con la Legge 17/2003 “Sistema integrato d’interventi e servizi sociali in Puglia”, la Regione Puglia, ha individuato il sistema degli interventi e servizi sociali con lo scopo di garantire la qualità della vita e dei diritti dei cittadini, favorire l’integrazione e l’inclusione sociale, contrastando ogni forma di emarginazione.

In sintesi, le scelte strategiche previste all’unanimità e unitariamente dai tre Comuni dell’Ambito sono state: politiche a favore delle famiglie (domiciliarità, aiuto e sostegno alla famiglia e alla persona), politiche per l’inclusione sociale e i diritti di cittadinanza (accessibilità ai servizi; rimozione del disagio; contrasto alla povertà). Gli obiettivi prioritari individuati sono stati i seguenti: servizi d’informazione e consulenza per l’accesso alla rete integrata; sevizio sociale professionale; servizi sociali di pronto intervento per situazioni di emergenza personali e familiari; servizi educativo-assitenziali e di promozione della socialità; interventi per contrastare vecchie e nuove povertà e favorire l’inclusione sociale; servizi di aiuto e sostegno familiare per favorire la permanenza a domicilio; strutture e centri di assistenza e di accoglienza a ciclo diurno; strutture di assistenza e accoglienza residenziali o a ciclo continuo. Le risorse complessive assegnate dalla Regione ammontano ad euro 8.3440.000,00, cui vanno ad aggiungersi le somme messe a disposizione dai tre Comuni, pari ad euro 205.000,00, che portano le somme totali a disposizione ad euro 8.545.000,00.

Il nostro auspicio è che, a differenza del Piano Sociale precedente, vengano illustrati periodicamente i risultati di eccellenza raggiunti, soprattutto in merito alle politiche di prevenzione e della domiciliarità dei servizi e che vengano, altresì analizzati anche gli elementi di criticità e in continuità con le esperienze accumulate in questi ultimi anni, in modo da realizzare il miglior piano sociale possibile.

Ma altre considerazioni sento di dover sottoporre all’attenzione dei lettori e degli attori di quella che possiamo definire come una vera e propria “rivoluzione culturale”. Parlo di “rivoluzione culturale”, perché fino a ieri al funzionamento dei servizi sociali si dedicavano pochi spiccioli, o addirittura quel che rimaneva dei bilanci comunali. Le tristi conseguenze della scarsa considerazione avuta negli anni nei confronti dei problemi sociali della cittadinanza, da parte della classe politica, sono sotto gli occhi di tutti: disgregazione, scarsa identità, droga, alcolismo, malavita, aggressività inciviltà e chi più ne più ne metta. Ben venga, allora, il Piano di Sociale di Zona, ma solo se lo s’intende veramente come cambio di cultura, fine dei rapporti clientelari, programmazione concertata e grande voglia di cambiamento nel rapporto con le istituzioni.

Queste proposte, però, potranno trovare conforto solo quando si riuscirà a rompere il clima di autorefernzialità e si riusciranno ad instaurare nuove forme di partecipazione basate su: ridefinizione dei criteri di consultazione del cittadino; di accoglienza dei suggerimenti, delle richieste e delle lamentele, applicando i regolamenti afferenti gli istituti di partecipazione previsti nello Statuto comunale, previsione di un budget per le iniziative dei cittadini; previsione di pubbliche udienze sui grandi temi e di udienze specifiche su tematiche richieste da gruppi di cittadini operanti nel sociale; cooperazione municipale sui grandi temi sociali (droga, pubblica sicurezza, emarginazione, educazione alla legalità); sui problemi del miglioramento della qualità della vita in città, sulla promozione sociale e culturale, sottraendo ai gruppi privati i servizi di natura sociale e promuovendo la cooperazione municipale o fornendo supporto pubblico ad iniziative individuali; consigli di partecipazione e consultazione sui temi dell’assistenza sociale, dell’età evolutiva, della giustizia; riconoscimento delle nuove realtà sociali (immigrati, anziani con scarso reddito e con scarsa protezione familiare, il mondo del precariato e dei disoccupati) come parti integranti della comunità e in quanto tali portatori di diritti-doveri di rappresentanza e di cittadinanza.

“DONNE”: NON SOLO 8 MARZO

La “Festa della donna” ha subito negli ultimi tempi una manifestazione strumentale e consumistica , ma resta, comunque, il simbolo di una conquista tutta femminile…sociale, politica, economica. E’ ormai acclarato che qualunque sia il ruolo che ella rivesta, la donna occupa un ampio spessore nella quotidianità, nella cultura, nell’arte ed oggigiorno anche nella politica.

Ma, nonostante, ciò, la discriminazione nei confronti del sesso femminile, pur essendo diminuita rispetto agli anni precedenti, è ancora presente. Infatti, tuttora, numerose culture del mondo discriminano la donna, riconoscendo in lei solo ruoli limitati alla procreazione e all’educazione, dei figli e della famiglia, rendendola subalterna alla figura dell’uomo.

Fortunatamente, nel nostro paese si è raggiunta la consapevolezza della parità ontologica uomo-donna, dalla quale scaturisce un’eguaglianza di diritti e doveri, una libertà di espressione, di parola, di decidere del proprio destino, venendo fuori da quella “impotentia agendi” a cui è stata costretta per diversi secolo dall’uomo. Ma con l’emancipazione femminile, se è vero che per un verso la donna ha raggiunto, almeno teoricamente, la parità dei diritti, dall’altro, invece, è diventata vittima di un doppio lavoro, quale quello fuori dalle mura domestiche, oltre a quello casalingo.

Come spiega Simon de Beauvoir nel suo libro dedicato interamente alla figura della donna, “Il secondo sesso”, il lavoro casalingo della donna è “invisibile, clandestino e soprattutto non retribuito” spetta unica,mente alle donne e ne sfrutta le energie, senza né ripagarle, né riconoscerne la dignità. Infatti, è comune che donne – madri siano al tempo stesso casalinghe e professioniste, e quindi si trovino ad accollarsi un doppio lavoro a cui la donna, prima dell’emancipazione, non assolveva, in quanto confinata nelle quattro mura di casa.

Erroneamente si è abituati a pensare che la fragilità si chiami donna, ma in realtà quest’ultima è fragile non nelle sue scelte, nel suo coraggio, nella sua capacità di autoaffermarsi, ma è fragile di fronte alla violenza dell’uomo…Non si finisce mai di apprendere sulle violenze fisiche che le donne ricevono dai loro compagni o da uomini che, assetati di possederle, ma incuranti del danno morale che arrecano ad esse, abusano del loro corpo, sottraendone l’anima, lasciando solo lividi e ferite fisiche ma anche psichiche che il tempo solo, forse un giorno, potrà curare.

Il prossimo 25 novembre, come ogni anno, sarà celebrata la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”, non vorremmo trovarci ad assistere all’ennesima celebrazione di un giorno o a pubbliche dichiarazioni meramente formali. Si fa ancora in tempo a promuovere campagne pubbliche contro la violenza sulle donne. Come? Attivando, con metodo sinergico, una rete tra le Regione, la Provincia ed i Comuni, con le associazioni culturali, e sociali, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica in modo permanente e non solo in occasione di date prefissate o di eventi tragici, con l’obiettivo di liberare retaggi culturali, che ancora oggi, rendono possibile il femminicidio.

Bisogna rifuggire dall’idea precostituita e retrograda di donna sottomessa all’uomo, oggetto di desiderio, incapace di intendere e di volere, burattino nelle sue mani. Del resto, non sarebbe contraddittorio parlare di “padronanza dell’uomo sulla donna” se la parola stessa “Donna” deriva etimologicamente dal latino “domna”, forma sincopata di “domina”, cioè…padrona?!

E, visto che siamo in campagna elettorale e si parla tanto di “pari opportunità”, sarebbe anche ora che si passi dalle parole ai fatti, ossia che si realizzino non solo programmi concreti in termini di sicurezza, lavoro, assistenza, cultura, di spazi politici ed elettorali, di valorizzazione della presenza femminile nella pubblica amministrazione, ma anche di realizzazione degli istituti di partecipazione

con l’immediato insediamento della “Consulta per le pari opportunità”. Un segnale chiaro in questo senso potrebbe essere dato anche dai Consigli regionali, provinciali e comunali con l’inclusione nei rispettivi Statuti di un articolo specifico relativo alla formazione della Giunta, che obblighi il presidenti e il sindaco a costituire una Giunta formata per il 50% da donne.

Sarebbe questo un modo nuovo e concreto per andare oltre le mere celebrazioni. Ai posteri l’ardua sentenza.