domenica 11 marzo 2012

ALDO MORO: PERCHE’ CONTINUARE A RICORDARE

Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la fiat 130 che trasportava l’on. Aldo Moro, dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma, alla Camera dei deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all’incrocio tra Via Mario Fani e via Stresa. Gli uomini delle B.R., uccisero, in pochi secondi, i 5 uomini della scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della democrazia Cristiana.
Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini, il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, fu ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù (dov’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via selle Botteghe Oscure (dov’era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano). Fu sepolto nel comune di Torrita Tiberina, piccolo paese della provincia romana ove lo statista amava soggiornare. Aveva 61 anni.
Il Centro Studi Politici “A. Moro” nel ricordare annualmente le date che ci richiamano il sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta, mentre resta ancora tanto da dire e da scoprire sui 55 giorni della sua prigionia, vuole sempre evidenziare la grande attualità del pensiero moroteo soprattutto per la sua grande capacità di guardare “non solo al domani ma anche al dopodomani”. Il pensiero (filosofico-giuridico e politico) di Moro è attuale, oggi più che mai, perché Moro è stato capace di cogliere con grande anticipo i tempi nuovi, di indagare le trasformazioni di una società che si avviava a diventare sempre più complessa e quindi difficile da inquadrare con le categorie e i parametri precedenti.
In lui c’è sempre stato il tentativo di cogliere i tratti di una democrazia difficile, caratterizzata dalla sua giovane età e dalla difficile circostanza della guerra fredda che la costringe in una forma bloccata, dimezzata. C’è l’aspirazione verso una democrazia più matura, compiuta, una democrazia dell’alternanza, del reciproco riconoscimento tra gli opposti schieramenti politici. Una democrazia del dialogo, della collaborazione, della condivisione.
E proprio su questo tema l’elaborazione politico-culturale di Moro è straordinariamente acuta, e presenta per noi motivi di grande attualità. Riscoprendo, per esempio, il senso più vero della politica, che è chiamata ad intervenire sempre più spesso con competenza, lungimiranza, responsabilità, moralità. Questo impegno di umanizzazione dell’esperienza si concretizza in ciò che Moro aveva colto: la difesa, il consolidamento e l’espansione del processo democratico. E’ questo, infatti, lo strumento più efficace rispetto al complicarsi dei fenomeni sociali, del crescente pluralismo sociale e culturale, della sempre più evidente inadeguatezza e insufficienza dello Stato ormai troppo grande per far fronte alle “piccole” questioni, ma decisamente troppo piccolo per affrontare e risolvere le grandi problematiche del nostro tempo.
“Questa Italia disordinata e disarmonica è però infinitamente più ricca e più viva dell’Italia più o meno bene assestata del passato. Ma questa è solo una piccola consolazione. Perché anche nel crescere e del crescere si può morire: Ma noi siamo qui perché l’Italia viva, e non come uno Stato di gracili strutture economiche e politiche, ma come un grande paese moderno e civile, che abbia trovato il giusto ritmo tra lo sviluppo economico e sociale ed il progresso istituzionale e politico. Per giungere a tanto occorre che noi, Governo e popolo, siamo collegati in modo reale e durevole e profondamente solidali” ( Dal discorso tenuto alla Camera dei deputati il 3 dicembre 1974)
Cosa rimane allora dell’insegnamento politico di Moro? Se si guarda il quadro politico dei nostri giorni non si può non cadere nello sconforto: i partiti ridotti a contenitori senza identità e senza cultura; liste bloccate imbottite di personaggi mediocri che privano il cittadino del momento più importante in cui si esplica la sua sovranità e la sua partecipazione democratica. Come può questa classe dirigente autorefernziale pensare di affrontare le problematiche dei n ostri tempi, le problematiche di una società complessa? Infatti, non li affronta, spesso perché non ha le capacità culturali per comprenderli… si limita a gestire il potere, ad ingrassare.
Quell’avvenimento del 16 marzo 1978, e dei 54 giorni che sono seguiti, è ancora presente nella vita di questo paese; è da allora che la politica italiana è entrata in crisi, in una crisi da cui non si vede ancora una via d’uscita. E’ da quel 16 marzo che la classe politica italiana è entrata in crisi, in una crisi da cui non si vede ancora una via d’uscita. E’ da quel 16 marzo che la classe politica italiana si è attorcigliata su se stessa e si dimena in una impotenza onnivora. E’ impotente di fronte ai problemi economici e sociali; è ripiegata silo sulla gestione del potere, sullo spreco dello risorse pubbliche; l’unica preoccupazione è quella di perpetuarsi, di riprodursi in una inarrestabile corsa verso il basso. Tanto più crescono la sua impotenza e la sua incapacità di amministrare la cosa pubblica, tanto più aumenta la sua ansia ossessiva, onnivora, di privilegi di casta.
Nelle lettere dalla prigione e in molti discorsi Moro profetizza la degenerazione patologica di un sistema di potere chiuso su se stesso. In una lettera del 24 aprile del 1978 scrive: “Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa”.
Purtroppo, lui non c’è, ma dal suo nome e nel suo nome può partire una mobilitazione culturale e sociale per il riscatto della Politica.

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