lunedì 16 maggio 2011

BILANCIO SOCIALE ANCORA DI LA’ DA VENIRE. PERCHE’?

Il 16 maggio scorso il Consiglio comunale, tra gli altri punti iscritti all’o.d.g., ha approvato a maggioranza anche quello relativo al “Rendiconto di gestione 2010”, senza del quale non è possibile discutere e deliberare il bilancio di previsione 2011, che dovrà essere deliberato alla fine del mese dopo aver fruito di ben cinque mesi di proroga.

Duole rilevare che, come è stato per i precedenti bilanci, né in sede preventiva, né in sede consuntiva, l’amministrazione comunale ha, ancora una volta, ignorato non solo gli istituti di partecipazione previsti dallo Statuto comunale, ma anche la Direttiva del 17 febbraio 2006 emanata dal Ministero della Funzione Pubblica relativa alla rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche. In questa disposizione di legge, infatti, sono dettate le linee-guida per la redazione del bilancio sociale visto come completamento del processo di trasparenza iniziato negli anni ’90 con la legge n. 241/’90, riformata successivamente dalla legge n.15/2005.

La rendicontazione sociale – ricordiamo – si basa su una visione unitaria dell’Amministrazione, dovendo rendere evidenti all’esterno i risultati dell’azione amministrativa. A sua volta, il controllo strategico comporta la necessità di valutare il sistema sociale e politico come una pluralità di attori interagenti fra loro su un piano di parti dignità. Il risultato ultimo di questa attività di governance dovrebbe essere la capacità di stimolare formule auto-organizzative della società civile.

L’introduzione della rendicontazione sociale permette di stimolare il dibattito sulla qualità dell’intervento pubblico, sui compiti che gli amministratori devono assumere in via prioritaria e sulle logiche ad esso sottese attraverso le tipologie d’intervento attuate. Si ha, in tal modo, il superamento della prospettiva, piuttosto riduttiva, dei soli criteri di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.

L’adozione di una rendicontazione sociale effettiva, se non vuole ridursi ad un mero elenco propagandistico di azioni compiute e di buone intenzioni, comporta l’impianto di un sistema complesso in cui i vari attori siano motivati e disposti ad un coordinamento.

La direttiva ministeriale elenca con precisione i presupposti di essa. Ne citiamo solo alcuni: 1) la chiara formulazione del valore e degli obiettivi, nonché l’identificazione dei programmi, piani e progetti in cui l’azione amministrativa si articola; l’attribuzione delle responsabilità politiche e dirigenziali; 3) il coinvolgimento della comunità nella valutazione degli esiti e nella individuazione degli obiettivi di miglioramento; 4) la continuità temporale dell’iniziativa.

In quest’ottica è fondamentale la pianificazione strategica dell’Amministrazione comunale come processo in cui s’individuano la missione e gli obiettivi di fondo, le funzioni, i modelli organizzativi, i programmi, le attività svolte, i servizi forniti e le risorse umane e finanziarie a disposizione. Successivamente, si individuano le azioni necessarie mediane, la definizione di piani operativi negoziati con gli stakeolders (portatori d’interesse) costituiti dagli opinion leaders, dagli attori-chiave sociali ed economici e da adeguati campioni di cittadini.

Anche la continuità politica è un elemento importante per l’uso corretto della contabilità sociale, al fine di impedirne un uso distorto per fini meramente propagandistici ed elettorali. Basti pensare a quanto la Direttiva ministeriale dispone circa la rappresentazione delle informazioni necessarie alla formulazione di un giudizio sull’operato dell’Amministrazione: 1) gli obiettivi perseguiti in termini di cambiamenti quantificabili e misurabili attesi alla situazione di partenza; 2) le azioni intraprese, in termini di piani, progetti, servizi e interventi normativi, 3) gli impegni e le azioni previste per il futuro, in termini di ulteriori cambiamenti programmati sulla base dei risultati raggiunti.

Si tratta, in sostanza, di avviare una fase di ascolto di tutte le realtà del territorio: sociali, sindacali, ambientaliste, culturali, imprenditoriali e di quartiere, per ritrovarci tutti insieme in una Convention di rilancio programmatico che sancisca gli obiettivi prioritari da raggiungere negli ultimi due anni di amministrazione.

Lo proponiamo ancora una volta perché crediamo necessario investire sulla società civile, perché bisogna ridare valore al ruolo storico della politica: strumento pubblico al servizio della città e dei cittadini. Tutto ciò non può prescindere da un metodo fondato su una grande capacità di ascolto che solleciti una pratica di partecipazione molecolare.

Come Centro Studi Politici “A. Moro” continuiamo a chiedere che il tempo della mera amministrazione, dell’ente locale come luogo della mediazione burocratica e del sottogoverno finisca per sempre.

Il tutto si fonda sul ritorno al valore della polis, un ritorno alla centralità del locale, della città come risposta aperta e democratica ai problemi e alle opportunità che la globalizzazione ci impone. Una comunità locale coesa ed accogliente, con una identità in divenire, con un livello di cooperazione sociale e di attività culturali dispiegate territorialmente, è il miglior antidoto, crediamo, alla tentazione di chiudersi a riccio, e respingere le diversità.

Un progetto ambizioso il nostro che ci auguriamo venga condiviso da tutti gli attori in indirizzo. Un progetto che potrà affermarsi solo se sapremo abbattere il muro della tecnocrazia e della ordinaria amministrazione. Diceva un vecchi saggio che i muri ribaltati diventano ponti. Ed è un ponte quello che ci serve, un ponte che sappia farci approdare sulla Riva sinistra.

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