domenica 8 maggio 2011

9 maggio: in memoria di tutte le vittime del terrorismo

Perché ricordare Aldo Moro? Anzitutto per offrire alle nuove generazioni strumenti idonei alla riflessione culturale e politica. Poi, per riattualizzare il suo pensiero, in una società spesso confusa e distratta da elementi estranei alla Politica che guarda ai bisogni dei cittadini, sta a significare la volontà di indicare a tutti un metodo di lavoro. Ed ancora il bisogno di avere, nelle difficili giornate che avvolgono l’impegno politico attuale, una guida di alto spessore morale e istituzionale.

In questa direzione va sicuramente il convegno promosso dalla D.C. locale su proposta dell’avv. Sergio Quatela che, oltre all’intervento del sottoscritto, vedrà la partecipazione di quanti lo hanno conosciuto e seguito a livello locale.

Ogni qualvolta che si parla di Moro sembra quasi che si riaprano discorsi che forse qualcuno gradirebbe fossero dimenticati. Evidentemente quanti, nei famosi 55 giorni del suo rapimento si sono affannati a sostenere l’impossibilità dell’autenticità degli scritti di Moro, oggi hanno paura di dover ammettere che quel Moro era autentico. O, forse, a distanza di trentatre anni da Via Fani, quanti allora sostennero, ingiustamente, la ragion di Stato, hanno oggi la difficoltà ad ammettere che bisognava coniugare il dovere di salvare la vita umana di Moro insieme con la necessità che fosse salvato lo Stato nella sua inviolabilità?

Il 16 marzo 1978 è il giorno in cui si doveva votare la fiducia al Governo Andreotti. Mentre Moro si recava alla camera, fu rapito dalle Brigare Rosse in Via Fani e uccisi gli uomini della sua scorta: Oreste Leonardi, Raffele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.

Il 9 maggio 1978, nella mattinata, un’edizione straordinaria del TG1 comunicava: Il corpo di un uomo è stato ritrovato in una Renault rossa in Via Caetani”, strada vicina alla sede del Partito Comunista Italiano in Via delle Botteghe Oscure e a quella della Democrazia Cristiana a Piazza del Gesù.

Poco più tardi arrivò, purtroppo, la conferma: l’uomo era Aldo Moro. Si chiudeva, dopo 55 giorni, il calvario di Moro. 55 giorni che costrinsero anche i suoi carcerieri a ragionare, mettendo in crisi le loro certezze e facendo esplodere anche le contraddizioni.

Alla sua morte i suoi aguzzini non brindarono. Sono passati trentatre anni ma la ferita lasciata aperta da quella triste storia non è ancora rimarginata. Sono stati consumati processi, ma, ahimè, tutti i brigatisti coinvolti sono tornati in libertà o in semilibertà. Hanno detto tutti la verità? Certamente non tutta! Ci fu la Ragion di Stato? Si poteva salvare Aldo Moro? Le ombre e gli interrogativi di quell’orribile tragedia non sono stati affatto dissipati. Certo, l’intesa fra i due maggiori partiti italiani faceva paura a molti, in Italia e all’estero. All’America e all’Unione Sovietica, che non guardava di buon occhio quel lento distacco di Berlinguer dalle indicazione del Cremlino. A seguito di quella vicenda si lacerarono anche rapporti molto forti all’interno della democrazia Cristiana e all’esterno. Intervennero tutti: il Papa, i politici ed altri.

I familiari non vollero nessuna cerimonia, non vollero il lutto nazionale, non vollero funerali di Stato. Perché ritenevano che lo Stato non poteva anteporre la ragion di Stato alla pietà umana. Oggi, a distanza di tanto tempo, noi ritroviamo in quella profonda e ricca eredità del testamento, le ragioni del percorso. E ancora di più, oggi più che mai, mentre assistiamo, quasi impotenti, al continuo disgregarsi di un sistema democratico, nel quale avevamo creduto, per il quale avevamo combattuto e nel quale avevamo sognato

il suo pensiero torna sempre nelle nostre considerazioni e valutazioni; ma, ahimè, non trova quasi mai momenti di vera condivisione, ignorando le necessità di rafforzare collaborazioni ed intese fra i partiti e facendo spesso prevalere la competitività eccessiva, i personalismi, le divaricazioni, gli scavalcamenti e la tenuta di coalizione, che invece devono ritrovarsi accanto a convergenze programmatiche piuttosto che a marcate connotazioni politiche.

Il Moro che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e che ha segnato il nostro modo di vivere l’esperienza politica è il Moro del coraggio e della lucidità. La sua lezione etica e storica insieme è ben sintetizzata nelle parole-chiave di “strategia dell’attenzione”, “convergenze parallele” intese non riduttivamente in funzione di un atteggiamento tattico verso il P.C.I., bensì come capacità di dominare con l’intelligenza gli eventi della storia umana, al di là di pregiudizi di tipo ideologico o moralistico. “Più le masse popolari – egli diceva – avranno il senso dello Stato attraverso il proprio inserimento, più la democrazia sarà forte e le tentazioni autoritarie saranno eluse”.

Occorre oggi, più che mai, mantenere vivo il ricordo di Aldo Moro, e di tutte le vittime del terrorismo, non soltanto per evitare il riprodursi di fenomeni terroristici e riaffermare il principio di legalità come criterio cardine dell’azione politica, ma anche per favorire l’affermarsi di un’alta concezione dell’impegno pubblico, il quale non parte da disegni personali di potere, ma da un’elevata coscienza storica della funzione del ruolo di chi è chiamato a perseguire l’interesse generale.

Il nostro auspicio è che il ricordo dei Martiri di Via Fani e di via Caetani alimenti sempre più e meglio il confronto costruttivo, non pregiudiziale e ideologico, tra maggioranza e opposizione, a tutti i livelli istituzionali non dimenticando mai che “è la società italiana che sceglie da sé il suo cammino, ed il governo la guida e l’asseconda”. (Aldo Moro). Il Presidente: prof. Vito De Leo

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