sabato 27 febbraio 2010

LETTERA APERTA SUL FORUM

Ai cittadini “liberi e forti”, organizzati e non, ai rappresentanti delle istituzioni scolastiche, politiche ed amministrative, ai promotori del 1° Forum sulla cittadinanza attiva.


In riferimento al meeting sulla “PARTECIPAZIONE ATTIVA: istruzioni per l’uso”, svoltosi il giorno 26 febbraio presso l’Auditorium della “Sacra famiglia”, promosso dai giovani del PD con la collaborazione di numerose associazioni e rappresentanti di partiti politici, nel quale sono intervenuti il prof. Leo Palmisano, sociologo dell’Università di Bari ed il dott. Giuseppe Scelsi, sostituto procuratore della Repubblica, ritengo utile fornire alcune delucidazioni in merito ad uno degli aspetti del tema oggetto della discussione, ossia “L’ordinamento delle autonomie locali ai sensi delle leggi 241/90, dopo le modifiche introdotte dalle leggi n. 267/200 e n. 15/ 2005, con particolare riferimento agli Statuti comunali ed agli istituti di partecipazione”.

Non v’è dubbio che la legge 8/6/1990 n.142 abbia voluto affidare agli Enti locali una capacità specialissima di autogoverno, sostanziando così di contenuto moderno ampio ed aperto il postulato autonomistico dell’art 5 della Carta costituzionale.

L’art. 59 al primo comma stabilisce che Comuni e Province devono adottare lo Statuto ed i regolamenti entro un anno dall’entrata in vigore dalla legge. Quello del Comune di Corato, approvato dal Consiglio comunale il 27/3/2001 è stato modificato il 28 febbraio 2008 in sostituzione di quello precedente, dopo aver introdotto l’istituto del Difensore civico, il cui titolare, però, non è stato ancora messo in condizione di operare.

Quale atto normativo lo Statuto è costitutivo di diritti soggettivi e di interessi legittimi, pertanto, nel caso di atti contrari alle norme statutarie, sarà proponibile l’azione presso il giudice ordinario, con possibilità di ricorso in cassazione, per violazione o falsa applicazione della norma statutaria stessa.

In caso di inerzia del Comune, competenti ad adire il giudice potranno essere anche i cittadini attraverso l’azione popolare.

Una prima considerazione quindi, al di là delle pur logiche considerazioni giuridiche sul quantum di funzioni proprie e derivate attribuito dalla legge, deve riguardare necessariamente l’ambiente sociale.

Esso deve essere sconsiderato in relazione ai seguenti aspetti:

a) il territorio, e quindi la possibile geografia istituzionale ed i rapporti con gli altri enti locali,

b) cittadini e le associazioni costituenti, in genere, in stretta connessione con il territorio, la fonte dei bisogni e delle esigenze di socialità e pubblicità, dalla quale l’ente locale trae i propri fini e organizza le funzioni in ordine al raggiungimento degli stessi.

Tutto questo è chiaramente previsto nel TITOLO II: Istituti di partecipazione popolare e diritto all’informazione.

Alle radici del nostro discorso sul tema sta, perciò, la domanda di fondo: “Che cosa significa oggi partecipare alla vita del Comune?”

In una democrazia ideale il cittadino, preso come singolo o come corpo sociale, è attento alla gestione della cosa pubblica, è con dovizia informato dai suoi rappresentanti politici sulle più importanti questioni, è in grado di scegliere tra le varie opzioni proposte dai partiti, risultando così impegnato direttamente o indirettamente.

Purtroppo, ai nostri giorni ciò non si verifica quasi mai. Al massimo si può osservare un coinvolgimento passivo o inerte tramite i mass-media quasi sempre su temi che non sono di interesse politico generale.

Non ci dobbiamo però illudere che tutti i cittadini “uti singuli” od “uti universi” possano partecipare su tutto ed a tutto. Saremmo nel campo dell’utopica “Città del sole”. Oppure, rischieremmo l’anarchia assembleare di una democrazia completamente partecipativa.

Oggi, il massimo di partecipazione è il momento elettorale, ma, esso stesso, risulta sempre più essere confezionato su volontà predisposte dai partiti politici sempre più avulse dalla realtà di base.

A maggior ragione crediamo sia importante puntare molto sugli istituti di partecipazione, che a nostro avviso possono assumere:

a) da un lato, la fisionomia della partecipazione diretta nei vari organi istituzionali. Consiglio, Giunta, Sindaco, Consiglio di circoscrizione, Consigliere di unione di Comuni, Consigliere di amministrazione di una istituzione o di azienda speciale o di consorzio;

b) dall’altro, la partecipazione per interesse, non istituzionalizzata. Ed è di questa forma che desideriamo parlare.

Chi possono essere i soggetti interessati a questa partecipazione non istituzionalizzata?

Riteniamo, per esperienza, che in linea di massima siano: Associazioni sindacali, imprenditoriali ed economiche, culturali, turistiche e del tempo libero, assistenziali, sportive; Enti: scuole, università, fondazioni varie, banche, istituzioni industriali; Gruppi non associati: anziani, giovani, cittadini distinti per tipo d’istruzione, cittadini distinti per reddito.

Appare evidente che ciascuno dei soggetti suddetti è utente di servizi svolti dal Comune o dalla Provincia.

Quale migliore occasione, quindi, di regolare via statuto la partecipazione degli stessi al controllo sulla erogazione dei servizi. E’ chiaro che ciò comporta un cambiamento culturale sia dell’amministratore politico che della tecnostruttura, ma la sua attuazione porterebbe dritta all’ottenimento di risultati efficaci ed al soddisfacimento di bisogni ed interessi vari.

Ecco che le pubbliche iniziative dovranno essere preparate in modo mirato e per gruppi di destinatari ben delimitati.

Si tratta, in buona sostanza, di attivare una consistente azione di marketing sociale, le cui premesse statutarie devono poi essere dettagliate in un regolamento per la consultazione dei soggetti di partecipazione individuati fra quelli sopra evidenziati a titolo di mera esemplificazione.

Quindi, partecipazione intesa come interrelazione costante fra corpo sociale e istituzione stessa al fine di ottenere risultati efficaci.

E’ chiaro che intesa in questa veste la partecipazione diventa dialogo, che presuppone anche la capacità di ascolto dell’istituzione.

Predisporre momenti di consultazione diretta (istituzionalizzazione di momenti di incontro periodici in occasione dell’adozione di atti o di provvedimenti fondamentali per la vita dell’ente) o indiretta, attraverso sondaggi di opinione, misurazione telematica dell’audience attraverso i “media”, risulterà determinante per l’Ente locale moderno, che, in ciò facendo, otterrà non solo una partecipazione credibile e non avvolta in un lussuoso quanto inutile cellophane, ma risparmi consistenti di risorse umane e finanziarie derivate da una previsione mirata e precisa circa l’attività da intraprendere.

Ora, se ciò è vero per il privato, ove al cliente passivo si è sostituito al cliente partecipe ed attivo, non si vede perché il “pubblico” non possa agire nella stessa identica maniera.

Basterà sostituire al concetto di mercato, il concetto di corpo sociale o comunità organizzata, ed all’ azienda produttrice il nuovo Comune orientato non più al suo interno ma al servizio.

Quindi, canonizzazione del momento dell’ascolto attraverso il marketing sociale, ma creazione anche di norme che sanciscono il dovere all’informazione del cittadino da parte del Comune o della Provincia.

Senza informazione non ci potrà essere comunicazione e quindi ritorno della stessa informazione sotto forma di partecipazione cosciente.

Quindi, informare il cittadino significa rendere possibile l’accesso ai servizi e rendere nota l’attività dell’istituzione in relazione agli stessi.

Lo Statuto, insomma, potrebbe essere migliorato e aggiornato prevedendo, ad esempio, la costituzione di un organismo consultivo in ordine alla gestione dei servizi, chiamandone a far parte le associazioni sopra evidenziate. Il regolamento relativo dovrebbe poi, in concreto, disciplinare gli ambiti di intervento consultivo preventivo, dettagliandone i modi, le forme, i tempi di questo strumento di partecipazione.

Il Centro Studi Politici “A. Moro” mette a disposizione non solo la propria pluriennale esperienza relativa alla tutela dei diritti dei cittadini nei settori dei servizi di pubblica utilità, della legalità, della scuola, ma soprattutto alcune competenze maturate nell’ambito degli istituti di partecipazione previsti dallo Statuto comunale in materia di sussidiarietà e di audit civico, sulla qualità del rapporto dei pubblici amministratori con i diversi esponenti della società civile. Diceva un vecchio saggio che i muri ribaldati diventano ponti: è quello che ci proponiamo di essere e fare.

Da ultimo, ma più stella polare che punto cardinale, la dimensione strategica che per noi assume il processo del bilancio sociale. Non ci stancheremo mai di considerarlo come la funzione di riferimento principale dello Statuto comunale e quindi del programma amministrativo di tutti i partiti che si definiscono democratici perché non solo disegna una modalità aperta e democratica di gestione della cosa pubblica, ma anche perché allude ad un altro mondo possibile, perché sperimenta una risposta locale alla globalizzazione, perché il mandato elettorale impone il ragionamento e la pratica di nuove forme di democrazia.

In conclusione, l’auspico è che questo progetto di programmazione che allude ad un incrocio di esperienze, idee, bisogni, tensioni, desideri di donne, uomini, bambini, anziani, cittadini, lavoratori, decisori politici, professionisti dell’Amministrazione, partiti, società civile organizzata, diventi il frutto degli sforzi di tutti i veri democratici e rappresenti il nucleo forte di una proposta politica rigorosamente incardinata sull’interesse collettivo: “La civiltà avrà veramente inizio quando il potere dell’amore sostituirà l’amore del potere”. (Richard Aldinton).

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