lunedì 1 febbraio 2010

“La principessa e il figlio del professore”

Conosciamo Gero Grassi da moltissimi anni. Molti di noi hanno condiviso con lui l’impegno politico e partitico (D.C.- PPI – Margherita – PD). Altri, come il sottoscritto anche quello amministrativo (Sindaco di Terlizzi), sociale (ACLI), giornalistico (Il Confronto delle idee), ed ora anche letterario. In verità, per lui e per noi, l’uno non avrebbe senso senza l’altro.

La politica, infatti, può essere molte cose. Pensarla solo brutta e affarista è un alibi comodo per sottrarsi al dovere di cambiarla.

Provare a ridisegnare i perimetri dell’impegno nella comunità, orientandola verso progetti condivisi e carichi di futuro, ha portato - come ci dice il suo lungo curriculum vitae - a mettersi in gioco sin da giovanissimo, motivato dall’esempio dell’attivissimo genitore Peppino (assessore del Comune di Terlizzi negli anni 60’ e tuttora responsabile di associazioni culturali, oltre che scrittore e ricercatore delle tradizioni locali) e dallo zio Giuseppe Colasanto, che tutti ricordiamo come gentiluomo della politica, che godeva di una stima e di un consenso personale assolutamente inossidabili, acquisiti grazie al suo grande senso delle istituzioni, che riassumeva nelle domande: “Cosa vuole oggi la gente dalla politica? Non comprende che la politica è servizio e non mestiere?”.

Proprio come affermava il comune Maestro Aldo Moro, conosciuto da Gero – come dichiara nel suo libro a lui dedicato “Aldo Moro…non solo per ricordare”, nel lontano 1963, all’età di 5 anni, al seguito del padre assessore, nel quale vedeva il senso vero dello Stato, la forte capacità di misurarsi “con le difficoltà del tempo che ci è dato vivere”, la piena volontà di riscatto sociale, economico, culturale della popolazione meridionale, l’dea, realizzata, di “avvicinare al circuito del potere quanti ne sono stati esclusi per troppo tempo”.

Sorretto da questo”credo” e dagli insegnamenti dell’altro “maestro” moroteo Renato Dell’Andro, nonostante tante esperienze, non sempre liete, l’amico deputato Gero Grassi continua il suo impegno politico nel Partito Democratico, convinto che oggi, più di ieri, in questo partito l’insegnamento moroteo non si esplica ancora in modo compiuto nell’impegno e nella visione della politica come confronto di idee, di partecipazione e di scelte condivise dal basso, così come hanno dimostrato le recenti primarie, che lo hanno visto critico verso le scelte della dirigenza nazionale.

Una linea coerente con i diversi ruoli ricoperti come sindaco di Terlizzi nel 1990 (fu il primo sindaco democristiano d’Italia ad avere in giunta il Partito della Rifondazione comunista), presidente dell’Assemblea USL Corato- Ruvo- Terlizzi nel 1991, assessore al Comune di Terlizzi nel 2003, presidente segretario provinciale del P.P.I. prima e della Margherita, poi, che lo eleggerà anche Coordinatore regionale e che continua a portare avanti come deputato del PD eletto nel 2006 e vice-presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, dove si distingue, in qualità di relatore, in alcune leggi di miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale.

Della sua esperienza ha scritto spesso e continua a farlo con sistematicità, raccontando il travaglio inquieto del cambiamento, l’insonnia che prende il politico quando i bisogni veri non esplodono in progetti condivisi. Ha detto della partecipazione possibile nonostante le conflittualità forti del partito e della comunità. Ha tracciato le linee di una politica che prova gusto e piacere a confrontarsi con il domani. Tutto questo con la fierezza di chi queste cose le fa a Sud, nel mezzogiorno d’Italia, nella sua amata Puglia.

Alla passione per la politica Gero Grassi ha affiancato da sempre quella del giornalismo e della scrittura. Iscritto all’Albo dei Giornalisti di Bari dal 1955, collabora con diverse testate locali e regionali. Fondatore con il sottoscritto del mensile “Il Confronto delle idee” dirige anche “Collegamento Bari”, quindicinale Siulp, “Grandangolo”, periodico di Andria e “Paese vivrai”, mensile di Locorotondo.

Dal 1984 al giugno 2009 annovera ben 22 pubblicazioni, che hanno come soggetto Terlizzi, sua città natale, e personaggi storici della DC (Don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Benigno Zaccagnini, Aldo Moro) e il cittadino (leggi 142/90, 265/99, autocertificazione, ordinamento locale, novità legislative).

A questi libri si sono aggiunti due romanzi: “Il Ministro e la Brigatista”, un romanzo d’amore che si svolge negli anni 1976, 1977 e 1978: gli anni duri del terrorismo e delle Brigate Rosse, del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro. In questo primo romanzo c’è tutto il Grassi successivo. Anche qui si racconta un amore difficile negli anni di piombo tra sofferenze, omicidi, violenze, voglia di partecipazione e sete di giustizia. Un amore sconfitto dall’eccidio di Via Fani e dal ritrovamento in Via castani, a Roma, del corpo di Aldo Moro. Un amore risorto a distanza di trent’anni, nella primavera del 2008, quando lui è diventato ministro e lei è finita in carcere per aver aderito alla lotta armata dei brigatisti rossi.

Nel suo secondo romanzo, “La principessa e il figlio del professore”, edito come il primo dalla Casa editrice Palomar nel giugno 2009, che abbiamo il piacere di presentare questa sera, continua la sua ossessione per il tempo, soprattutto il “corpo a corpo” con la vicenda nazionale italiana, luttuosa e grottesca insieme, sciagurata e grandiosa, che ha inizio con il Fascismo, a partire dal 1924. Ma è anche la storia degli albori della democrazia italiana all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, quando con l’avvento della repubblica e le elezioni del 1948, una generazione di democratici avvia un nuovo processo costituente improntato ai valori di libertà, di pace e di giustizia. Con un salto di quasi 28 anni, l’autore ci fa rivivere gli anii duri del 1976-‘77 e ’78, del terrorismo e delle Brigate Rosse, del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro, ma anche dell’approvazione della legge 833/1978, che sancisce la piena attuazione dell’art. 32 della Costituzione, quando prevede che ad ogni cittadino deve essere garantito il diritto il diritto alla salute. Ma è anche la storia di due giovani terlizzesi, Teresa Tuberoso (“La Principessa””) e di Daniele Del Mare (“Il figlio del professore”), entrambi medici, che s’intreccia con il fascismo, l’avvento della Repubblica, il trionfo della D.C., gli anni del terrorismo e dell’uccisione di Aldo Moro.

All’età di 53 anni, lei, cattolica e democristiana, divenuta Ministro della Sanità per volontà di Aldo Moro nel Governo Andreotti, insediatosi proprio il giorno del suo rapimento 16 marzo 1978,

e di 54 anni, lui, comunista, si ritrovano, dopo 28 anni, tra i banchi della Camera dei deputati, seppure in ruoli e partiti diversi, a far prevalere i principi di democrazia e di giustizia sociale, anche al prezzo della vita, come accadrà per Daniele. “Quasi nessuno a Terlizzi – conclude l’autore nel suo sedicesimo ed ultimo capitolo – ricorderà quel ragazzo intelligente e battagliero, animato da buona volontà, entusiasta di vivere e di combattere per migliorare il mondo. Eppure Daniele, il grande ragazzo è vissuto desideroso di amore e capace di amare. Ha dato tanto amore, ricevendone ben poco”. In questa conclusione non è forse ravvisabile qualche riferimento autobiografico?. “Nemo profeta in patria!” ci suggerisce la nostra esperienza.

Ma, al di là di queste opinabili considerazioni, possiamo affermare con sicurezza che chi legge i scritti può ritrovarne l’inquietudine di chi sente che non si è mai fatto abbastanza, chi lo ha osservato con giudizio giustamente critico, scoprirà la fierezza di chi non ha mai barattato i valori più profondi con l’ambizione del potere. Chi di lui sa poco potrà lasciarsi coinvolgere dai ragionamenti che mordono i vissuti, costringendo il politico a non sottrarsi al suo dovere di ascolto della comunità.

Gero conosce l’arte che il lettore dovrà leggere-udire-capire innanzi alla sua opera, per poi riviverla con l’ausilio della memoria, se necessaria anche con l’immaginazione, capirla e farla propria come parte di sé.

Chi legge i suoi libri presta attenzione non solo a quello che l’autore racconta o dice, ma ama la certosina soavità della cura dei caratteri, l’impaginazione, le fotografie, la copertina ed altro per dare e ricevere l’input di trascorrere quattro ore del passato nella gioia di rivedere luoghi, persone, amici, oppositori e sorridere sotto i baffi.

Tra le varie sfaccettature in cui ci appaiono alcuni momenti particolari di quest’uomo, semplice nella persona e nel racconto emerge nitida la base culturale dell’uomo, che non è irrilevante, ma occupa una grande padronanza razionale, critica e veritiera, della parola esatta del grande vocabolario in suo possesso, specie nella descrizione come visione poetica di ciò che esprime senza punto arrestarsi per una pausa pensamento o di ripensamento.

“Non so scrivere muovendo la fantasia. Mi piace, invece, scrivere di fatti vissuti, di persone conosciute, di luoghi scrutati. Mi piace raccontare per non aver sentito, ma per aver vissuto” scrive nella prefazione al suo precedente romanzo “Il Ministro e la Brigatista” .

“Ancora una volta - dice l’autore nella prefazione de “La principessa e il figlio del professore” questo romanzo contiene direttamente o indirettamente una parte della mia vita. Ma anche quella di tante altre persone che con me e vicino a me, ogni giorno sono impegnate a far sì che l’Italia possa crescere e migliorare. Ho capito che nella società c’è una gran voglia di ritualizzare la Storia e semmai di riviverla attraverso il romanzo. Soprattutto i giovani sono desiderosi di parlare degli avvenimenti che hanno attraversato l’Italia e che conoscono poco. Vogliono farlo senza clamore, sottovoce. Quasi una riflessione pubblica”.

Ed è quella che ci auguriamo possiamo fare questa sera insieme a lui.

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