Il 24 febbraio
prossimo ci recheremo alle urne per ridare alla nostra bella e cara Italia un nuovo
Parlamento ed, auspicabilmente, nuovo governo eletto dai cittadini con la
speranza che la sua azione possa tornare a far rinascere nelle persone fiducia
e speranza nel futuro ma soprattutto nella politica, che non significa
ammaliare gli elettori con fallaci promesse che un noto personaggio
sta facendo in questi giorni imperversando in tutte le tv rievocando
provvedimenti demagogici rivelatisi poi perniciosi per il Paese. Per fare
ciò la politica oggi necessità di una palingenesi che si esplichi con paradigmi
di coerenza ed equità, equità che oggi oltre ad un elemento
macroeconomico diventa altresì un fattore sociale ineludibile.
A noi tutti è
toccato oggi l'appuntamento con la storia, storia che rimette in discussioni
modelli di welfare, livelli di benessere, diritti considerati ormai
intangibili. Mi permetto quindi di rivolgervi le istanze che provengono dalle
persone con cui quotidianamente mi confronto nella vita sociale, istanze che un
analfabetismo della classe dirigente che ha governato il paese nell'ultima
legislatura non ha voluto e saputo interpretare, acuendo esponenzialmente
fenomeni di disagio sociale. Persone cui indistintamente sono stati
chiesti pesanti sacrifici per non far scivolare il nostro Paese nel baratro,
attendono nella prossima legislatura che mi auguro possa essere
"socialmente" costituente.
Promuovete quindi
con tutte le vostre forze e possibilità iniziative parlamentari
propedeutiche sia a ridurre l'indennità di deputati, senatori e dei
consessi regionali, almeno fino a quando gli indicatori economici principali
non diranno che il Paese è uscito dalla recessione sia a consentire di
assoggettare ad un equo e adeguato prelievo fiscale i trattamenti previdenziali
e i vitalizi, maturati in altre epoche e contesti, il cui importo oggi a volte
non trova né giustificazione né aderenza e proporzione con le mutate condizioni
socio-economiche del Paese perpetuando inopportune sperequazioni.
Siamo consapevoli
come Centro Studi Politici “A. Moro” che ciò non risolverà i problemi di
bilancio o di correre il rischio di scadere nella retorica o alimentare il
qualunquismo o l'antipolitica ma il nostro intento invece è proprio quello di
ridare alla politica stessa e ai suoi attori la sua accezione più nobile. Le
nostre sono proposte non contro qualcuno ma per qualcosa che anche il nostro
popolo, riformista e progressista brama, affinché chi è venuto e
verrà a chiedere sacrifici, sia pronto per primo a farne e a chiederne a chi ha
più possibilità, piccoli o grandi che possano apparire. C'è in gioco la
credibilità della classe politica, delle istituzioni democratiche, la coesione
e la giustizia sociale elementi imprescindibili per una Paese che vuole non
solo crescere ma progredire senza lasciare indietro nessuno.
C'è un tempo per
ogni cosa e oggi è il tempo del coraggio e non dell'ignavia. Aristotele diceva
che la politica è l'arte architettonica più nobile ed importante perché
costruisce il futuro delle persone. Auspichiamo quindi che
possiate/possiamo avere un ampio consenso per portare a Roma le istanze
sopracitate prodromiche a costruire un paese più giusto e migliore.
Tutti sanno che il
problema del debito pubblico non si risolverà tagliando i privilegi dei
politici. Oggi più che mai, tuttavia, è importante partire dall'esempio. Sono
stati i pessimi esempi di "pedagogia pubblica", come l'ostentazione
chiassosa del potere e l'indulgenza verso le tante forme di
"evasione" dai propri doveri, ad aver diffuso in profondità le
patologie dell'egoismo, della furbizia, della disinvoltura nella gestione dei
beni comuni. E abbiamo dunque bisogno di buoni esempi, prima di tutto
dall'alto, perché da una vera e propria insurrezione morale del paese si
generino crescita economica e giustizia sociale.
L'esempio
giusto, soprattutto quando è la fiducia che non esiste più, non può essere solo
quello, pure efficace in termini di risparmio di risorse, che
"colpisce" un soggetto collettivo e dunque anonimo come un partito.
E' importante far vedere che il sacrificio lo fanno direttamente le persone in
carne e ossa, a partire da quelle che chiederanno il loro voto ai tanti
italiani piegati e piagati dalla crisi. Ecco allora un'idea semplice e di
immediata applicabilità, che corrisponde peraltro a quanto altri hanno già
detto e, in qualche caso, cominciato a fare.
Sarebbe
bello se i candidati al Parlamento dichiarassero, al momento di iniziare la
loro campagna elettorale, la loro volontà di rinunciare al 30 percento di tutti
i loro emolumenti diretti e indiretti. Con un colpo secco e
"lineare", il giorno stesso del loro ingresso alla Camera o al
Senato. Senza se e senza ma. Senza nascondersi dietro il "vorrei ma non
posso" di norme che impediscono, commi da chiarire, diritti acquisiti da
rispettare. E tanto meglio se saranno direttamente i leader dei vari partiti a
decidere di vincolare i loro candidati a questa rinuncia nel momento
dell'inserimento nella lista.
Ad evitare
anche il minimo ostacolo "tecnico" - e solo come ipotesi subordinata
- i candidati potrebbero indicare, sempre preventivamente, a quale
organizzazione non profit operante nel settore dell'istruzione o della sanità
devolveranno comunque il 30 per cento di tutte le loro entrate legate alla
politica nel caso fosse loro impedito con la forza di lasciare la relativa
somma nelle casse dello Stato.
I vantaggi
della proposta ci appaiono evidenti. Una volta che venisse fatta propria da
qualcuno, è facile immaginare che tutti sarebbero perlomeno spinti ad
adeguarsi, pena il lasciare agli avversari un vantaggio "morale" al
quale gli elettori risulterebbero molto sensibili. E così questo potrebbe
davvero essere il primo atto della nuova legislatura. Un simile taglio
legittimerebbe interventi altrettanto rapidi e incisivi a tutti i livelli.
Annunciarlo adesso e con inequivocabile chiarezza aiuterebbe a ricucire il
rapporto fra i cittadini e la politica, perché il gesto sarebbe immediatamente
comprensibile e verificabile nei suoi effetti. Chi sarà purtroppo costretto a
continuare a chiederci sacrifici mette prima di tutto le mani, in misura
consistente, nelle sue tasche.
Qui si
tratta di chiedere ai politici non i loro figli, ma semplicemente il 30
percento di ciò che costa ai cittadini il loro servizio. C'è qualcuno
disponibile ad alzare la mano?
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