domenica 6 gennaio 2013

Una modesta proposta per i candidati al Parlamento



Il 24 febbraio prossimo ci recheremo alle urne per ridare alla nostra bella e cara Italia un nuovo Parlamento ed, auspicabilmente, nuovo  governo eletto dai cittadini con la speranza che la sua azione possa tornare a far rinascere nelle persone fiducia e speranza nel futuro ma soprattutto nella politica, che non significa ammaliare gli elettori con  fallaci promesse che  un noto personaggio sta facendo in questi giorni imperversando in tutte le tv rievocando  provvedimenti  demagogici rivelatisi poi perniciosi per il Paese. Per fare ciò la politica oggi necessità di una palingenesi che si esplichi con paradigmi di coerenza ed equità, equità che oggi oltre ad un  elemento macroeconomico diventa altresì un fattore sociale ineludibile.
A noi tutti è toccato oggi l'appuntamento con la storia, storia che rimette in discussioni modelli di welfare, livelli di benessere, diritti considerati ormai intangibili. Mi permetto quindi di rivolgervi le istanze che provengono dalle persone con cui quotidianamente mi confronto nella vita sociale, istanze che un analfabetismo della classe dirigente che ha governato il paese nell'ultima legislatura non ha voluto e saputo interpretare, acuendo esponenzialmente fenomeni di disagio sociale. Persone  cui indistintamente sono stati chiesti pesanti sacrifici per non far scivolare il nostro Paese nel baratro, attendono nella prossima legislatura che mi auguro possa essere "socialmente" costituente.
Promuovete quindi  con tutte le vostre forze e possibilità  iniziative parlamentari  propedeutiche sia a ridurre l'indennità di deputati, senatori  e dei consessi regionali, almeno fino a quando gli indicatori economici principali non diranno che il Paese è uscito dalla recessione sia a consentire di  assoggettare ad un equo e adeguato prelievo fiscale i trattamenti previdenziali e i vitalizi, maturati in altre epoche e contesti, il cui importo oggi a volte non trova né giustificazione né aderenza e proporzione con le mutate condizioni socio-economiche del Paese perpetuando inopportune sperequazioni.
Siamo consapevoli come Centro Studi Politici “A. Moro” che ciò non risolverà i problemi di bilancio o di correre il rischio di scadere nella retorica o alimentare il qualunquismo o l'antipolitica ma il nostro intento invece è proprio quello di ridare alla politica stessa e ai suoi attori la sua accezione più nobile. Le nostre sono proposte non contro qualcuno ma per qualcosa che anche il nostro popolo, riformista e progressista  brama, affinché  chi è venuto e verrà a chiedere sacrifici, sia pronto per primo a farne e a chiederne a chi ha più possibilità, piccoli o grandi che possano apparire. C'è in gioco la credibilità della classe politica, delle istituzioni democratiche, la coesione e la giustizia sociale elementi imprescindibili per una Paese che vuole non solo crescere ma progredire senza lasciare indietro nessuno.
C'è un tempo per ogni cosa e oggi è il tempo del coraggio e non dell'ignavia. Aristotele diceva che la politica è l'arte architettonica più nobile ed importante perché costruisce il futuro delle persone. Auspichiamo quindi che possiate/possiamo avere un ampio consenso per portare  a Roma le istanze sopracitate prodromiche a costruire un paese più giusto e  migliore.
Tutti sanno che il problema del debito pubblico non si risolverà tagliando i privilegi dei politici. Oggi più che mai, tuttavia, è importante partire dall'esempio. Sono stati i pessimi esempi di "pedagogia pubblica", come l'ostentazione chiassosa del potere e l'indulgenza verso le tante forme di "evasione" dai propri doveri, ad aver diffuso in profondità le patologie dell'egoismo, della furbizia, della disinvoltura nella gestione dei beni comuni. E abbiamo dunque bisogno di buoni esempi, prima di tutto dall'alto, perché da una vera e propria insurrezione morale del paese si generino crescita economica e giustizia sociale.
L'esempio giusto, soprattutto quando è la fiducia che non esiste più, non può essere solo quello, pure efficace in termini di risparmio di risorse, che "colpisce" un soggetto collettivo e dunque anonimo come un partito. E' importante far vedere che il sacrificio lo fanno direttamente le persone in carne e ossa, a partire da quelle che chiederanno il loro voto ai tanti italiani piegati e piagati dalla crisi. Ecco allora un'idea semplice e di immediata applicabilità, che corrisponde peraltro a quanto altri hanno già detto e, in qualche caso, cominciato a fare.
Sarebbe bello se i candidati al Parlamento dichiarassero, al momento di iniziare la loro campagna elettorale, la loro volontà di rinunciare al 30 percento di tutti i loro emolumenti diretti e indiretti. Con un colpo secco e "lineare", il giorno stesso del loro ingresso alla Camera o al Senato. Senza se e senza ma. Senza nascondersi dietro il "vorrei ma non posso" di norme che impediscono, commi da chiarire, diritti acquisiti da rispettare. E tanto meglio se saranno direttamente i leader dei vari partiti a decidere di vincolare i loro candidati a questa rinuncia nel momento dell'inserimento nella lista.
Ad evitare anche il minimo ostacolo "tecnico" - e solo come ipotesi subordinata - i candidati potrebbero indicare, sempre preventivamente, a quale organizzazione non profit operante nel settore dell'istruzione o della sanità devolveranno comunque il 30 per cento di tutte le loro entrate legate alla politica nel caso fosse loro impedito con la forza di lasciare la relativa somma nelle casse dello Stato.
I vantaggi della proposta ci appaiono evidenti. Una volta che venisse fatta propria da qualcuno, è facile immaginare che tutti sarebbero perlomeno spinti ad adeguarsi, pena il lasciare agli avversari un vantaggio "morale" al quale gli elettori risulterebbero molto sensibili. E così questo potrebbe davvero essere il primo atto della nuova legislatura. Un simile taglio legittimerebbe interventi altrettanto rapidi e incisivi a tutti i livelli. Annunciarlo adesso e con inequivocabile chiarezza aiuterebbe a ricucire il rapporto fra i cittadini e la politica, perché il gesto sarebbe immediatamente comprensibile e verificabile nei suoi effetti. Chi sarà purtroppo costretto a continuare a chiederci sacrifici mette prima di tutto le mani, in misura consistente, nelle sue tasche.
Qui si tratta di chiedere ai politici non i loro figli, ma semplicemente il 30 percento di ciò che costa ai cittadini il loro servizio. C'è qualcuno disponibile ad alzare la mano?


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