giovedì 18 dicembre 2008

Ricordare, Conoscere, Agire - Intervista a "Il Confronto delle idee"

Intervista al prof. Vito De Leo in occasione del ventennale dalla fondazione del periodico terlizzese “Il Confronto delle idee”.

Il prof. Vito De Leo è stato il primo direttore del nostro giornale edito da Radio Terlizzi Stereo, che lo ha anche avuto negli anni ottanta come conduttore, insieme a Felice Giangaspero, della trasmissione “Cambiamo le regole del gioco: un programma per Terlizzi”.

Vito De Leo nasce politicamente negli anni sessanta. Esponente della penultima generazione democristiana, ha vissuto intensamente le vicende politiche, sociali e culturali della nostra città ricoprendo incarichi di prestigio e ruoli istituzionali importanti, brevemente illustrati nelle precedenti note biografiche. In tutte le fasi della sua vita e negli incarichi ricoperti ebbe sempre coerenza e operò con reale convinzione ed una costante attenzione ai valori morali e costituzionali della vita, della persona, della scuola, della cultura delle autonomie locali e della politica.

La conversazione che abbiamo voluto realizzare sul filo della memoria, del presente e delle prospettive future aiuta a capire le diverse dimensioni nelle quali continua ad operare efficacemente e con garbo: cattolico, docente illuminato e moderno e stimato, rimasto improvvisamente vedovo (anche per responsabilità, riconosciuta in sede giudiziaria del Comune di cui si è tanto occupato come cittadino e politico), interprete ed amministratore della società in cui ha vissuto, persuasivo e convincente, buono ed onesto in politica, instancabile nel profondere ogni energia sul piano giornalistico e della cittadinanza attiva, occhi sempre aperti sulla realtà, fermo di carattere, circondato dalla stima dei colleghi e dei superiori, pregevole guida umana, politica ed amministrativa, anche nella città di Corato che lo ha adottato da quattro anni.

A nostro parere la vita di un uomo non va valutata solo attraverso la quantificazione di opere realizzate, ma in particolare attraverso la valutazione - da diverse angolazioni – dello spirito, della volontà, del senso di umanità e di dedizione, che hanno animato e sorretto un progetto di esistenza, finalizzato al progresso della comunità della quale siamo partecipi e, talora, come Vito De Leo, protagonisti.

Le pagine che seguono fanno cenno di tutto questo, ma non desiderano configurarsi come pagine di storia. Non ne assumono il tono, preferendo, piuttosto, caratterizzarsi come un racconto in presa diretta, talvolta detto anche in prima persona e con partecipazione emotiva, perché inteso ad offrire una testimonianza viva e possibilmente contagiosa di un modo del tutto coerente di ispirarsi alla lezione morotea, di cui continua a diffonderne convintamente, come vedremo, il messaggio culturale e politico.


Vito, tu sei stato il primo direttore de “Il Confronto delle idee”, vuoi condividere con noi i ricordi di quella esperienza?

Il Confronto delle idee” - Agenzia mensile d’opinione e d’informazione del Circolo A.C.L.I., del Circolo culturale “Michele De Napoli” e del Centro Studi “Aldo Moro” di Terlizzi, edito dalla Cooperativa Culturale Radio Terlizzi Stereo, la cui testata mutuava una frase ripetuta costantemente dal segretario nazionale della DC. Benigno Zaccagnini, ed accanto alla quale riportammo significativamente una celebre citazione di don Tonino Bello: “Il Vangelo vale più del dollaro. L’amore vale più della macchina. Il dialogo vale più del tornaconto”, con le sue cinquemila copie diffuse grazie all’impegno del direttore responsabile Michele De Santis, del sottoscritto che ne fui il fondatore insieme a Gero Grassi e il direttore editoriale fino all’agosto 1991, divenne presto una realtà presente oltre i confini locali e provinciali, in quanto punto di riferimento costante del pensiero e dell’azione di numerosi ed autorevoli esponenti della Sinistra morotea.


In quale contesto storico e politico decideste di dare vita ad un nuovo giornale cittadino?

Ricordo ancora l’impegno dichiarato nel mio primo editoriale del dicembre 1988, di dare vita, in quel particolare momento storico e a dieci anni di distanza dalla scomparsa di Aldo Moro, ad un periodico locale. Lo facemmo, infatti, subito dopo l’elezione a presidente della Giunta regionale pugliese, avvenuta il 23 novembre, di Giuseppe Colasanto, l’amico di sempre, il consigliere saggio e prudente, il conterraneo tanto caro alla nostra gente, di cui tante volte ne aveva interpretato le istanze. Ma eravamo anche alla vigilia del Congresso nazionale della Democrazia Cristiana., che si tenne a Roma il 18 febbraio 1989 e dell’intervista che ebbi l’onore di rivolgere il 5 marzo successivo all’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, in occasione della manifestazione organizzata dall’Azione Cattolica ispirata dall’altro indimenticabile messaggero di pace don Tonino Bello. L’attenzione di tutti, però, era rivolta alle elezioni amministrative del 28 maggio dello stesso anno, che sancirono l’elezione a consigliere comunale degli amici delle A.C.L.I. Pinuccio Colasanto e Gero Grassi, che risultò, con nostra massima soddisfazione, anche primo degli eletti tra i 13 consiglieri comunali democristiani, e sindaco di Terlizzi dal 18/6/1990 al 20/6/1991 ed artefice dello Scioglimento del Consiglio comunale avutosi a seguito dell’autosospensione.


Con quali intenti deste vita al progetto editoriale, che quest’anno festeggia il suo ventesimo anniversario?

L’obiettivo dichiarato nel mio primo editoriale fu quello di voler dare vita ad un giornale ispirato al pensiero e all’insegnamento di Aldo Moro. Un giornale inteso come strumento aperto e proiettato nell’impegno culturale, sociale e politico, volto a riscoprire l’autentica identità cattolica e democristiana, sempre finalizzato a condurre un corretto e fecondo dialogo con tutte le istanze ideologiche e culturali presenti nel partito e nel paese. Credo che questo impegno sia stato sicuramente mantenuto dai miei successori anche nei venti anni successivi.

Dopo nove mesi di gestazione, come un feto uscito dal grembo affettuoso di “Terlizzi ‘87”, diretto dall’amico Michele De Santis, che continuava a firmarlo come direttore responsabile, “Il Confronto delle idee”, impaginato dalla tipografia Fiorino e organizzato dall’onnipresente Michele Grassi, copriva già un territorio che andava oltre i confini locali, continuava ad autofinanziarsi solo con la pubblicità ed era spedito gratuitamente a mezzo abbonamento postale.

Il nostro mensile ambiva a diventare una sorta di laboratorio che sperimentava la possibilità di “confronto” per produrre ipotesi di lavoro comune nella società, nel partito e nelle istituzioni. Questo in un periodo in cui si avvertiva la mancanza di un disegno strategico comune delle stesse forze democratiche di maggioranza, pur vincolate da un patto di governo e dove si accentuava la crisi del rapporto tra cittadini, partiti e istituzioni.


Fu incoscienza o presunzione?

Quella volta il passo ci apparve davvero lungo ed impegnativo. Coprire un’area vasta come la provincia di Bari non fu né facile, né agevole. Se ne parlò per giorni e settimane. Incontri, ipotesi, idee, progetti. Alla fine partimmo. Incoscienza o presunzione? Forse. Sicuramente la voglia di dare un ulteriore contributo all’informazione locale, provinciale e regionale di carattere politico-amministrativo, spesso più legata alla cronaca che ai risvolti e alle conseguenze di ogni qualsiasi avvenimento.

All’inizio qualcuno ci guardò con scetticismo. Altri ci fecero degli esami e vollero verificare la sincerità e la coerenza di molte nostre dichiarazioni e prese di posizione. Al di là dei giudizi dei lettori, che erano sicuramente molti, noi ci sforzammo sempre di restare il più possibile vicini alla verità con la nostra identità di cattolici, di democratici cristiani, di morotei, senza mai sfiorare i sentimenti di alcuno. Il pettegolezzo e lo scandalismo spicciolo non trovarono mai posto in quelle pagine. Per una questione di mentalità, di cultura, di educazione, di professionalità, di rispetto per la persona, così come ci aveva insegnato Aldo Moro.


Quali problemi doveste affrontare e come li risolveste?

I problemi non furono pochi. Andavano dall’autonomia finanziaria al reperimento delle notizie e delle firme politiche più importanti; dalla scelta degli argomenti alla ricerca del relativo materiale fotografico; dalla puntualità con cui arrivare mensilmente ai lettori alla voglia di fare sempre più e meglio.

Pur sapendo che dovevamo camminare su una strada cosparsa di facili detrattori e di potenziali “nemici “della verità, non incrociammo mai le braccia, non posammo mai lo sguardo sui buffoni di corte, sugli impotenti intellettuali che si masturbavano con le vuote parole, né prestammo mai attenzione ai tanto i ciarlatani della piazza o ai mestatori di professione.

Il nostro lavoro poggiò sempre sui mille “perché” dei fatti che caratterizzavano la vita politica, del Comune di Terlizzi, della provincia di Bari e della Regione Puglia, nonché della USL e degli enti territoriali dai quali dipende ancora la nostra vita civile, sociale, culturale, economica e politica. Andavamo a curiosare dietro le quinte del Palazzo, a spulciare negli archivi e nelle rassegne stampa. Indagavamo sulle “manovre” che rallentavano o impedivano i processi di crescita delle popolazioni. Con i nostri editoriali e con gli articoli dei preziosi collaboratori tentavamo di approfondire le ragioni di certe “scelte”, di sgomberare il campo dai dubbi e di favorire una più chiara lettura del linguaggio usato da chi aveva in pugno le leve del comando.


Avete, in pratica, dato vita a quella definizione che viene riportata sotto la testata, cioè ad un’ “Agenzia mensile d’opinione e d’informazione”.

Non solo, ma anche di critica costruttiva e di proposte operative, al più completo servizio dei lettori delle comunità amministrate, degli elettori e dei nostri riferimenti politici ai vari livelli istituzionali: Gero Grassi e Pinuccio Colasanto nel Consiglio comunale di Terlizzi, Giuseppe Colasanto e Vito Mariella nel Consiglio regionale, Enzo Sorice e Renato Dell’Andro nella Camera dei deputati ed ai tanti amici della Sinistra morotea, che nei diversi consessi di partito erano chiamati a sopportare il peso delle decisioni politiche ed a promuovere quello sviluppo economico e sociale da tutti promesso nelle diverse campagne elettorali del Partito.

Questo nostro responsabile comportamento aveva il solo scopo di sottolineare l’inderogabile esigenza di dare anima e slancio alla “strategia dell’attenzione” e alla “strategia del confronto” in termini concreti e non già puramente verbali, nel solco del vivido messaggio lasciatoci dall’on. Aldo Moro, che così si esprimeva: “Valere per il servizio reso e non per lo sviluppo di favori o clientele, deve essere la nostra ambizione. Che si cessi dal contare per il mucchietto di voti controllati, è un’esortazione così comune che io non desidero soffermatici più che un momento. Ma certo è l’ora che la D.C. non si affidi per niente all’avvilente pratica del tesseramento di comodo, ma alla impegnata adesione degli uomini, che sia veramente aperta a tutti e da tutti liberamente vissuta la militanza di partito”.


Hai fatto riferimento al messaggio di Aldo Moro. Cosa resta oggi del monoteismo?

In un editoriale del febbraio ’89 intitolato proprio così lamentavo l’assenza di quel grande statista pugliese tanto amico e vicino alla gente di Terlizzi, che lo ha sempre accolto con enorme entusiasmo. Un uomo che il 23 settembre 2008 avrebbe compiuto 92 anni, che ha lasciato una grande eredità non raccolta, purtroppo, da nessun politico d’oggi.

Con il Centro Studi “A. Moro”, costituitosi all’indomani della sua barbara uccisione avvenuta il 9 maggio 1978, dopo essere stato 55 giorni prigioniero delle Brigate Rosse, continuiamo a ricordarne la figura umana e politica di grande statista, anche attraverso la presentazione di libri. In particolare, desidero ricordare la presentazione del libro di Giuseppe Giacovazzo “Moro 25 anni dopo – Misteri” avvenuta il 7 aprile 2004 nella biblioteca comunale e quella del libro della figlia Agnese intitolato “Un uomo così”, avvenuta il 30 novembre 2005, in cui viene descritto il ritratto dell’uomo, del padre affettuoso, del nonno.

Ogni anno, mentre la maggior parte dei politici sono immersi nel pragmatismo, nel cerchio angusto della “governance”, del tirare a campare, noi continuiamo a ricordare i valori fondanti del suo pensiero, il rispetto della persona, la capacità di ascolto ed il dialogo come riconoscimento dell’altro, come pure il significato profondo delle lettere scritte dalla prigione brigatista, che ci inducono ancora a chiederci perché fu lasciato solo e abbandonato dai suoi amici democristiani.

Cosa ricordi di quella vicenda elettorale del maggio 1978 che coincise con l’uccisione del presidente della DC ad opera delle Brigate Rosse?

La notizia del ritrovamento in una renault rossa, in via Castani a Roma il giorno 9 maggio, pochi giorni prima delle elezioni per il rinnovo del nostro Consiglio comunale, e a distanza di sei mesi dall’ultimo suo comizio tenuto a Terlizzi l’8 novembre 1977, procurò in tutti noi un’emozione sconvolgente. La sede della sezione D.C., in Piazza Pappagallo, si riempì subito di tanta gente. Fu subito programmata una messa serale in suffragio nella Cattedrale. Ricordo l’immenso corteo che si formò per raggiungere la chiesa, ma anche lo scontro con i giovani comunisti che volevano partecipare ufficialmente all’iniziativa innalzando le loro bandiere rosse. Ci opponemmo energicamente per evitare strumentalizzazioni politiche.


A distanza di trent’anni dalla sua scomparsa qual è il messaggio più significativo che ritieni abbia lasciato ai suoi successori?

Con il suo esempio – scrivevo in un articolo intitolato “Nel solco cristiano e moroteo” e pubblicato sul numero di dicembre ’88 - Moro ha saputo proporre una nuova immagine di politico: non attaccato al potere, non rigido burocrate, ma uomo tra gli uomini, con le stesse ansie, le stesse gioie, gli stessi dolori. Fu l’uomo politico che più di ogni altro aveva trasformato il potere in servizio, con la parola e l’esempio. Sentiamo oggi come non mai la necessità di interrogarci, di scoprire il messaggio della sua testimonianza politica.

E con ciò denunciavo il modo antidemocratico, esclusivo, scorretto, abusivo, arrivistico, prepotente e personalistico di fare politica di gran parte della classe dirigente locale. Moro non rinunciò mai ad un suo pensiero, ma ebbe come merito quello di confrontarlo con il pensiero degli altri: è questo il senso che dette alle “correnti”.

Un confronto da perseguire ed intensificare con la piena consapevolezza di dover operare, in primo luogo, la ricomposizione morale, in unità d’intenti, fra tutti gli iscritti al Partito, senza più steccati ed emarginazioni.

Agli immancabili detrattori rispondevamo con le parole del nostro Maestro: “Si ama anche se si rimprovera, critica, corregge…Non c’è abbandono e sfiducia, ma convinzione, vigore ed amore nello sforzo di fare nell’autocritica e nella critica una D.C. rinnovata, più sensibile e più presente in questo momento di storia”.


Che cosa parla ancora di lui nella nostra città?

In un tempo in cui, soprattutto in politica, avanzano semplificazione e sgangheratezza, riprendere un discorso di Moro è salire sulle spalle di un gigante. Ricchezza del linguaggio, spessore culturale, ironia, sottigliezza, simmetria, lucidità sono i valori persi anche nel lessico del “Palazzo”. Quanti ricordi, tante cose a Terlizzi parlano di lui. Egli dette fiducia a noi giovani facendoci capire che la D.C. non era e non doveva essere solo il partito del Governo.

Il suo rapporto con Bari e Terlizzi andava al di là del pur lungimirante e generoso servizio di un politico alla terra e alla gente da cui traeva il mandato parlamentare. Questi erano i luoghi del ritorno, i luoghi dove ritrovare amicizie ed affetti di folle, i luoghi dove riflettere sulle esperienze concluse e da dove ripartire.

Il suo tornare tra di noi si legava, in genere, a manifestazioni pubbliche. Ma non erano neppure ritorni di carattere occasionale o di circostanza. Di circostanza, infatti, non erano i memorabili discorsi che in tali occasioni pronunciava.

Il suo tornare aveva, quindi, il senso umano e politico insieme, di un rituffarsi nella familiarità di valori, sentimenti e radici culturali e psicologiche, quasi a voler sottoporre a una verifica di autenticità quanto di volta in volta egli andava elaborando in analisi e disegni di linee strategiche.

Quello che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e che ha segnato il nostro modo di vivere l’esperienza politica, infatti, è il Moro del coraggio e della lucidità, è il Moro che leggeva il segno dei tempi e che superava steccati e vecchie mentalità, facendo emergere nuove prospettive epocali: i nuovi bisogni, la contestazione giovanile, la questione comunista, il ruolo del movimento dei cattolici democratici e così via. “Più le masse popolari – egli diceva – avranno il senso dello Stato attraverso il loro inserimento, più la democrazia sarà forte e le tentazioni autoritarie saranno eluse”.

Questa visione rimarrà sempre la via maestra del suo impegno politico e, forse, proprio per essa pagherà con la propria vita. Ma era per questa visione che il popolo lo capiva e lo amava. Specialmente qui a Terlizzi. E per questo che noi terlizzesi non lo abbiamo dimenticato e, a trent’anni dalla sua morte, lo ritroviamo più che mai presente nel ricordo e nell’animo della gente.

Io non so cosa avrebbe detto oggi, dopo trent’anni, ma di una cosa sono certo e cioè che avrebbe richiamato i politici ai valori sanciti nella Costituzione repubblicana (che tra l’altro, lo vide tra i più impegnati redattori) e avrebbe continuato a proclamare l’unità degli uomini capaci di realizzarli senza divisioni ideologiche, correntistiche (o, peggio, settaristiche), richiamandoli al più profondo senso di responsabilità, che va dal conoscere i propri limiti e dal moderare le ambizioni fino alla necessità di prepararsi per assolvere compiti nei quali sono coinvolti gli interessi della comunità e delle persone.


Torniamo al giornale. In particolare, verso chi andavano le critiche tue e de “Il Confronto delle idee”?

Le nostre sollecitazioni erano rivolte principalmente verso i nostri amici democristiani non sempre dimostratisi capaci di gestire il consenso elettorale in modo unitario, efficace, intelligente.

Le domande su cui si poggiava la nostra azione di stimolo e di confronto, secondo la prestigiosa scuola giornalistica per una comunicazione corretta e completa erano le seguenti: Who?, How?, When?, Where?, Why? Chi?, Come, Quando?, Dove?, Perché?

A queste domande si aggiungeva il nostro pressante invito ai consiglieri comunali ed ai dirigenti del partito a rivedere i propri i comportamenti, le scelte effettuate, gli errori commessi per consentire non solo il recupero di uomini nuovi, di energie fresche, di mentalità più aperte e disponibili, meno logorate dal lungo esercizio del potere, ma anche per uscire dalla lunga crisi ideale, politica e umana nella quale versava non trovò, purtroppo immediato riscontro.

Ma ciò non c’impedì di continuare a formulare tra le tante proposte una che è ancora sempre attuale e che le sintetizza tutte: una politica democratica, rinnovata negli uomini, nelle idee e nei metodi. Anche oggi come non più “giovane moroteo” e insieme a quanti gli sono rimasti fedeli e sono fermamente decisi a continuare sulla strada da lui tracciata con tanta comprensione e tolleranza, mi auguro che a tale metodo nei partiti si giunga al più presto.


Quali erano i politici del tempo cui facevate riferimento e che arricchivano la pubblicazione del giornale con i loro interventi diretti?

Mi riferisco ai suoi più importanti rappresentanti pugliesi: gli onorevoli. Renato Dell’Andro ed Enzo Sorice, il sen. Vito Rosa, i consiglieri regionali Vito Mariella e Giuseppe Colasanto, che a distanza di pochi giorni dalla sua elezione a presidente della Giunta regionale pugliese pentapartitica (DC,PSI,PRI,PSDI,PLI), avvenuta il 23 novembre 1989, mi concesse l’onore e il piacere di intervistarlo nella sua nuova veste, volendo per il tramite del nostro neonato giornale certamente rendere omaggio alla città che gli aveva dato i natali e che da sempre era stata oggetto delle sue attenzioni di amministratore regionale sensibile e preparato.


Verso chi va, in modo particolare il tuo ricordo?

In particolare il ricordo, ma anche la mia personale riconoscenza va al caro amico on.Renato Dell’Andro, che mi onorò, tra l’altro, insieme al senatore Vito Rosa, di presenziare come da testimone alle mie nozze nell’aprile 1973. E’ per me impossibile dimenticare il docente universitario, il più volte deputato e sottosegretario, il giudice costituzionale, l’amico e interprete fedele di Aldo Moro, come pochi amato dagli amici di partito, osannato dai giovani, stimato dagli avversari, così caro al popolo democratico terlizzese, soprattutto a quello giovanile e studentesco, che dopo le altrettanto premature scomparse di Aldo Moro e Vito Rosa, ci fece sentire orfani per la terza volta.

Non posso non ricordare con nostalgia chi ha rappresentato un costante punto di riferimento per noi giovani “morotei”, per chi ha sempre considerato la politica come mezzo e mai come fine, il bene comune obiettivo primario, lo Stato come diritto, l’uomo, la persona, il cittadino come centri di valori inalienabili, il partito come strumento, la società come solidale unione di persone e non come somma di individui da assistere.

Ci mancava già quando fu eletto all’alta carica di Giudice costituzionale, che lo allontanò dalla politica attiva; continuò a mancarci quando non potemmo più seguirlo ai convegni, alle conferenze, ai dibattiti, nei quali, dopo aver ascoltato sempre tutti, interveniva trasformando ogni discorso in “lectio”, in insegnamento, in riflessione.

Non abbiamo più potuto rivedere quella figura dall’eleganza sobria, il signore gentile e cortese, il leader autorevole per scienza e moralità, la guida esperta ed avveduta, il professore di diritto, il maestro di vita e di politica, il politico e l’uomo di governo che caratterizzava il suo impegno in termini di riflessione, di ricerca, di disponibilità paziente e sistematica al dialogo, al confronto, alla comprensione delle opinioni differenziate, delle sensibilità diverse, perché tutte le energie potessero essere ricomposte in termini costruttivi ed unitari.

Questa sua concezione della politica e questo stile moroteo” lo rendevano di fatto estraneo ai giochi di potere fine a se stesso, all’attivismo dispersivo e senza prospettive, ad azioni di partito statiche e settarie. Era, dunque, un esempio non solo da apprezzare (come tanti hanno detto e scritto) ma anche da imitare (come pochi hanno fatto).

In tutti, resta, però, come presenza morale e culturale, specialmente per quei terlizzesi come Raffaele De Scisciolo, Giuseppe Grassi, Giovanni De Candia, Gero Grassi e il sottoscritto ai cui inviti non si sottrasse mai e che puntualmente, convintamene e ampiamente, insieme a tanti altri amici delle A.C.L.I., di Radio Terlizzi Stereo, del Centro Studi “A. Moro” e del “Il Confronto delle idee” gli tributammo affetto, simpatia e consensi. Per tutti questi motivi rivolgemmo all’Amministrazione comunale nel 1991 la domanda, che fu puntualmente pubblicata sul nostro giornale, affinché gli fosse intitolata una strada o un edificio. Siamo ancora in attesa di una risposta.


Hai fatto riferimento anche al presidente Giuseppe Colasanto, il primo terlizzese, seguito da Nichi Vendola alla guida della Giunta Regionale Pugliese. Quali ricordi hai di lui?

Questo grande nostro amico e sostenitore, ci lasciò dopo appena dieci mesi dalla dipartita del comune amico Renato Dell’Andro: il 13 agosto 1991. Con lui finì l’epoca dei “morotei” vissuti con Moro che hanno “dato” alla politica. Peppino Colasanto – così lo chiamavamo - prima che politico era uomo di scuola, di cui fu anche dirigente e ispettore. Il suo orientamento, i comportamenti e il modo d’intrattenere i rapporti con il prossimo e con tutti coloro che si riferivano a lui, per le esigenze più diverse, erano ispirati dalla sua profonda fede e rivelavano la correttezza profonda di un’educazione personale e politica esemplare. E anche quando fu Presidente della regione Puglia non dimenticò mai le sue origini di maestro elementare. La sua attenzione verso la scuola fu continua.

Ricordare e documentare una vita spesa al servizio della propria terra può avere toni non adeguati alla realtà e ispirati ad emozioni contingenti, quando ci si deve riferire a vicende e persone vicine nel tempo e nell’amicizia.

La sua disponibilità verso tutti e per qualunque iniziativa creò intorno a lui un alone di simpatia che gli procurò una larga cerchia di amici, che furono il suo punto di forza per il suo esordio in politica e che non venne meno neanche l’ultimo giorno di vita, perché con il male che lo distruggeva – come ci riferiva suo nipote Gero Grassi, era lì, al telefono, per interessarsi di ogni cosa e per prestarsi a risolvere disparati problemi e, in particolare, quelli della povera gente, ritenuti da altri modesti e di scarsa forza elettoralistica, ma pur legati alle esigenze del quotidiano.

Se è vero che la politica è diventata oggi un affare per i più, legata ad intrallazzi, a compromessi e a macroscopici interessi privati, allora potremmo trovare anche la chiave di lettura dell’amara sconfitta subita dal Colavano alle elezioni regionali del 1990 e la sua grande dignità nell’accettare in silenzio la sottile e subdola congiura contro chi, come lui, a mio parere, era divenuto un personaggio scomodo di riferimento e rappresentava un pericolo di rottura per l’instaurato sistema delle lobbies correntizie, legate al mondo degli affari, prive di scrupoli e operanti attraverso clientele elettoralistiche.No ritengo di esagerare se affermo che si attaglia perfettamente a Peppino Colasanto l’espressione oraziana “Non omnis moriar; echegi momentum aere perennius…”.


Quali altri personaggi meritano, secondo te, di essere ricordati dalla comunità terlizzese?

Quello che è accaduto nel cuore del Novecento va continuamente rielaborato perché non è stato cancellato dal futuro. Appartiene alla storia del passato, ma l’oblio, la dimenticanza, le amnesie sono un crimine che non possiamo permetterci, perché, se dimentichiamo rischiamo di riprodurre esattamente una storia cattiva, di poter fare strazio di uomini giusti e di vite essenziali.

Come la vita buona di don Pietro Pappagallo (1984-1944), di un uomo che è riuscito a significarci che libertà e solidarietà sono le due gambe su cui cammina l’umanità. Tutti sanno, infatti, che la casa del sacerdote terlizzese, una delle 335 vittime dell’eccidio del 24 marzo 1944 delle Fosse Ardeatine, a cui fu offerta la possibilità di salvarsi e la rifiutò, a Roma fu porto di arrivo, di ospitalità, di amore, di comprensione, di umanità per tutti coloro che lì vi si recavano.

La vicenda di Don Pietro, dunque, traccia il carattere dei terlizzesi, fatto di modestia e di generosità, di quotidiane rinunce e piccole ritirate, ma anche di slanci fraterni. E propone un modello di eroismo sgranato in mille aiuti quotidiani; un modello di santità costruita sul sacrificio quotidiano, fino a quello della propria vita. Un eroismo ed una santità benedetta dalla mansuetudine, elevata a carattere nazionale e popolare.

Accanto al sacerdote va sempre ricordato il partigiano prof. Gioacchino Gesmundo (1908 – 1944), il giovane docente di storia e filosofia in un liceo romano, un fecondo intellettuale che fu anche apprezzato educatore, trucidato, anch’egli, in seguito all’attentato di Via Rasella, insignito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 15 agosto 1949, della Medaglia d’oro al valore militare e partigiano. Molto ci dice anche il fatto che nella sua stanza di studio, dove egli insegnò a tanti giovani i principi del suo Comunismo, fossero su due pareti un Crocifisso e un ritratto di Giuseppe Mazzini. Anch’egli aveva palpitato per il bene, la Giustizia, aveva amato gli umili, i sofferenti, i derelitti. Anch’egli aveva sognato una Patria libera da ogni tirannide; un cuore generoso che aveva fin dalla prima gioventù sentita la santità del sacrificio liberamente accettato e trovava nelle lugubri Fosse ardeatine il coronamento del suo apostolato.


Ci risulta che, tra gli altri, hai anche proposto al Comune l’intitolazione di una via a tuo nonno, il dott. Vito De Leo. Ce lo vuoi presentare?

Il dott. Vito De Leo nacque a Terlizzi nel 1870 e morì nel 1953. Si laureò all’Università di Napoli nel 1896 e fu tra i primi e, per lungo tempo, l’unico medico-chirurgo cittadino. Esercitò con encomiabile dedizione e professionalità la sua professione medica per oltre 50 anni, ricevendo notevoli apprezzamenti e riconoscimenti dall’intera comunità cittadina che lo ebbe anche come amministratore.

Dalle autorità amministrative e politiche del tempo ricevette numerosi e prestigiosi incarichi, che assolse con grande spirito di servizio, in particolar modo verso le persone più bisognose. Il suo ricordo resta ancora molto vivo presso i concittadini di una certa età, che ne decantano le doti umane e professionali e la grande disponibilità al servizio della città e dei pazienti.

L’auspicio è che il suo esempio di uomo probo, colto e instancabile professionista sia opportunamente riconosciuto e onorevolmente ricordato con l’intestazione di una strada o di un edificio cittadino.


E per i tempi più recenti chi pensi meriti di essere ricordato?

Innanzitutto il “Vescovo della strada” come amava definirsi il nostro amato Don Tonino Bello, che è bene precisare, nessuno può vantare l’esclusiva di una figura così rilevante e non è neanche riferibile soltanto alla nostra realtà territoriale. Ha però intrattenuto rapporti particolari, significativi e indelebili con la gente e con le comunità ecclesiali e civili affidate alla sua cura pastorale.Da questa reciprocità nasce la congiunzione con la nostra Terlizzi, che non è stata ancora adeguatamente indagata, se non a livello prettamente aneddotico, nonostante gli studi, le ricerche e le pubblicazioni, in particolare “Don Tonino e Terlizzi”, di Renato Brucoli, che fu al suo fianco, fino alla sua immatura e dolorosissima scomparsa avvenuta il 20 aprile 1993.

Don Tonino - lo ricordo ai più giovani – fu eletto vescovo della diocesi di Molfetta – Giovinazzo – Terlizzi- Ruvo da papa Giovanni Paolo II° il 10 agosto 1982, all’età di 47 anni, succedendo a mons. Aldo Garzia. Il suo motto episcopale fu sempre: “”Ascoltino gli umili e si rallegrino”. Ricordo ancora con emozione il suo primissimo messaggio indirizzato alla diocesi e pubblicato sul settimanale diocesano di Molfetta “Luce & Vita”: “Ancora non conosco i vostri volti, però stringo egualmente la mano di tutti, non solo di voi credenti, ma anche di coloro che, pur non condividendo le nostre stesse speranze cristiane, sperimentano come noi la durezza della strada e s’impegnano perché la loro vita e quella degli altri sia più degna dell’uomo”.

Campione del dialogo e costruttore infaticabile di pace, venne chiamato dalla Conferenza Episcopale Italiana a presiedere la sezione italiana del movimento internazionale “Pax Cristi”. In questa veste gira il mondo, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti di riconciliazione, come la marcia verso Serajevo e l’ingresso nella città bosniaca in piena guerra, dove profetizza la nascita di ”un’ONU dei popoli”, capace di affiancare quella degli stati, e l’efficace azione di smilitarizzazione della Puglia nel rispetto della sua vocazione di “arca di pace” piuttosto che “arca di guerra” proteso verso l’Oriente e i Sud del mondo.

Ma numerose sono state anche le iniziative da lui tese a valorizzare il ruolo di Terlizzi: tra l’altro, affidò incarichi importanti a terlizzesi, laici e presbiteri, istituì nel 1984 la comunità di recupero per tossicodipendenti “CASA” e nel 1987 la Caritas cittadina impegnata nel sostegno alle famiglie disagiate, collaborò con testate locali d’informazione religiosa come “Luce e vita”, fece sentire la sua presenza a Terlizzi, non soltanto in occasione delle festività religiose e patronali, avvertendo la necessità di una scossa alla religiosità locale ancora ferma su posizioni bigotte e bisognosa davvero di un vescovo fra la gente e della gente, diffondendo la sua efficace idea della “Chiesa del grembiule” vicina e concretamente impegnata nel sostegno a chi soffre.

Nell’evolversi di questo rapporto esclusivo, Don Tonino ha gratificato Terlizzi e la sua gente al pari di ogni altra comunità. E’ entrato nelle case e nelle storie familiari; ha celebrato la speranza cristiana nei luoghi sacri come nei bassi di cui la città è disseminata. Non si contano le persone, i gruppi e le comunità che oggi si ispirano al suo messaggio, così come le scuole, le strade, le piazze, i centri di accoglienza, le realtà associative e i movimenti che s’intitolano al suo nome. Memorabili sono gli incontri avuti più volte nella sede delle ACLI, in uno dei quali, in particolare, il 3 novembre 1988, ribadì una toccante riflessione svolta nell’incontro di spiritualità per gli Operatori della politica, tenutosi a Molfetta il 22 dicembre 1985.

La politica – disse – è innanzitutto arte. Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costruzioni della logica di partito e sempre più all’invenzione creativa che gli viene chiesta dalla irripetibilità della persona. La politica è, poi, arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile perché emergente di incoercibili esigenze di progresso, di pace, di libertà. Nobile, perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria. La politica è, infine, arte nobile e difficile. Difficile perché le sue regole non sono assolute e imperiture. Sicché, proprio per evitare i rischi dell’ideologia, vanno rimesse continuamente in discussione. Difficile, perché esige il saper vivere nella conflittualità dei partiti, contemperando il rispetto e la lotta, l’accoglimento e il rifiuto, la convergenza e la divaricazione. Difficile, perché richiede, nei credenti in modo particolare, la presa di coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale, e il riconoscimento della sua laicità e della sua mondanità. Difficile, perché significa affermare, pur nell’ambito della comunità cristiana, un pluralismo di opzioni”.

Tutto si potrebbe, con sintesi mirabile, raccogliere attorno a tre parole, ormai famose, che don Tonino ci ha lasciato e che sono divenute tre piste certe e lucide per l’impegno della Chiesa nella politica e l’impegno di ogni politico nel mondo. Quelle tre parole sono: annunciare, denunciare, rinunciare. Tre gesti che diventano uno stesso stile, tre modalità di essere e di vivere il Vangelo, proprio dentro il vissuto di ogni giorno, fatto di un annuncio leale e chiaro, di una denuncia chiara e profetica, di una testimonianza coerente ed eroica, che parte dallo stesso cuore e stile di vita di chi è chiamato ad annunciare e a denunciare.

Muore a soli 57 anni dopo aver vissuto la sua malattia con fede eroica. Ha fatto storia, ma anche comunicazione attraverso la pubblicazione di numerose opere. La sua figura è gigantesca e proiettata nel futuro. Testimone della Fede, profeta della Speranza, costruttore infaticabile della Carità, trasforma il palazzo vescovile in una casa aperta a tutti i fratelli bisognosi in un mistico clima di convivialità. Costituisce l’incarnazione di un’esperienza moderna di santità: per la Chiesa istituzionale, che ne sta valutando la beatificazione e per la gente, già conseguita con l’esemplarità della vita e delle opere.

E dal punto di vista politico, amministrativo e civile?

Per i tempi più recenti, penso di interpretare il pensiero di molti concittadini richiamando alla memoria, soprattutto dei più giovani, le figure del prof. Antonio La Tegola, dell’avv. Nino Giangregorio, dell’ins. Salvatore De Chirico, i quali, a loro modo, in periodi diversi, hanno contribuito in modo responsabile e attivo al progresso del nostro paese e lo hanno saputo ben rappresentare nei diversi ruoli istituzionali ricoperti.

Il prof. Antonio La Tegola, docente nei licei, aderente all’Azione Cattolica e ai Comitati di Liberazione, perseguitato dal fascismo, tra i fondatori della Democrazia Cristiana prima e del Partito Nazionale Monarchico poi, protagonista incontrastato della vita politica terlizzese negli anni ’50, sindaco per due consigliature, candidato nella lista nella D.C nelle elezioni amministrative del 1972, risultò secondo degli eletti, contribuendo coi i suoi illuminati interventi in Consiglio comunale a dare sostegno all’azione amministrativa del sindaco Salvatore De Chirico.

Nella sua lunga esperienza politico-amministrativa seppe cogliere il passaggio da un’economia prettamente agricola ad un’economia industriale, che sfoderava con il suo eloquio razionale e roboante, non alieno da forme retoriche, tanto care alla folla acclamante nei suoi storici comizi, delle autentiche lezioni fondate su una cultura saldissima, nella quale si coglievano sempre i germi di una filosofia religiosa della vita, è sicuramente degno di essere ricordato dal sottoscritto, ma anche e soprattutto dalle istituzioni che ha sempre servito con onestà e competenza da tutti riconosciute.

Io che lo ebbi anche come docente non potrò mai dimenticare i suoi insegnamenti che andavano al di là della mera didattica letteraria e filosofica. Politica e cultura, la moralità politica, il potere come strumento per il soddisfacimento del bene comune e non come fine, la distinzione tra politica ed economia, la dignità della persona e della famiglia a fondamento della società e dello Stato: sono questi i temi sui quali c’intrattenevamo non solo dopo le lezioni, ma anche alla vigilia dei Consigli comunali che mi vedevano impegnato come capogruppo consiliare prima ed assessore poi.

Ricordare, pertanto, il prof. Antonio La Tegola con l’intitolazione di una strada è un ineludibile dovere etico dell’ Ente locale nei confronti di un protagonista assoluto e storicamente memorabile, che le nuove generazioni non possono non conoscere.

Per questo, nel 2003, nell’ambito del progetto di nuova toponomastica predisposto dall’allora assessore Gero Grassi, ne proposi l’intitolazione di una strada. Allora non fu possibile perché non erano ancora trascorsi – come prevede la legge - 10 anni. Oggi, insieme alla famiglia, di cui tra l’altro mi ritrovo a far parte, continuo a sperare nell’accoglimento della proposta da parte dell’Amministrazione comunale.

A seguire?

L’avv. Nino Giangregorio, eletto senatore nel 1983, dopo aver ricoperto per ben trentadue anni l’incarico di consigliere comunale, certamente merita, al di là della mia personale contrapposizione ideologica e partitica verso il M.S.I di allora che lo ebbe tra i fondatori e tra i più importanti rappresentanti, un sincero ricordo per la sua disponibilità, gentilezza, sempre pronto a ad offrire il suo contributo, dai banchi dell’opposizione in consiglio comunale, in modo particolare sulle mie relazioni che svolgevo come assessore alle finanze e al bilancio, sempre pronto a spiegare ai comunisti perché sbagliano e a colpire politicamente

gli errori dei democristiani, ma anche a suggerire interventi positivi e costruttivi che spesso trovavano benevola accoglienza da parte della maggioranza.

Infine, il tuo sindaco

A seguire, ma non ultimo, potrei citarne anche altri, l’ins. Salvatore De Chirico, sindaco della giunta di solidarietà nazionale, formatasi per la prima volta con l’appoggio del P.C.I. e di cui ebbi l’onore di far parte in qualità di assessore prima alla finanze, bilancio e programmazione e poi alla pubblica istruzione, cultura, sport, turismo e personale. Fu, dopo quella di capogruppo consiliare della D.C., un’esperienza indimenticabile in quanto fu, allo stesso tempo, esaltante e frustrante..

Esaltante e gratificante per le innumerevoli realizzazioni effettuate grazie alla sagacia, alla perseveranza e all’apertura politico – amministrativa del capo dell’Amministrazione, al quale va ascritto il merito storico di aver fatto conquistare alla D.C., per la prima ed unica volta, nelle elezioni amministrative successive del 28 maggio 2008, ben 13 consiglieri comunali su trenta, tra i quali – è bene ricordare – l’amico Gero Grassi risultò primo degli eletti.

Frustrante e deludente perché il mio impegno a sovvertire un certo modo di fare politica e amministrazione, che vedeva, tra l’altro, la finanza locale in soli termini contabili e clientelari e mai “partecipata”, fu osteggiato dai tanti avversari politici interni ed esterni che non condividevano un metodo siffatto.


Perché nel 1978, dopo tanto lavoro, non venisti eletto?

Proprio perché ero troppo impegnato a svolgere con la massima responsabilità e trasparenza un compito delicato e difficile nello stesso tempo, senza mai preoccuparmi delle conseguenze elettorali dei miei provvedimenti amministrativi, dovetti pagare il prezzo della non elezione. Evidentemente, il mio modo di fare politica che contestava certe mentalità, certe procedure non sempre trasparenti o legittime e scardinava certi meccanismi clientelari dette fastidio a chi da quel sistema traeva beneficio. La stessa cosa avvenne per l’amico Lelluccio De Scisciolo, sindaco prima di Salvatore De Chirico e, vedi caso, moroteo come me.


Torniamo all’attualità. Parliamo ora di politica. E’ cambiato qualcosa da allora? Registri un’evoluzione o un’involuzione?

La politica è stata sequestrata e privatizzata: o ci sono i grandi interessi che scelgono i loro rappresentanti, o ci sono i partiti che privatizzano la politica non avendo la vitalità di una volta. Adesso è arrivato il momento di costruire un tessuto di confronto, perché una discussione ora emerge. Basta assistere ai Consigli comunali per rendersi conto che sempre più frequenti sono i comportamenti che prediligono la quantità delle parole alla qualità degli interventi oratori. Una vera e propria mania esibizionistica che confina con la logorrea. Così accade che per varare un solo provvedimento, anche di scarsa rilevanza politica ed economica, a volte si spreca il tempo di una seduta consiliare per l’accavallarsi dei vari “distinguo” pro o contro.

Questo avviene anche perché la formazione delle liste, in genere, avviene senza fornire risposte adeguate alle domande che in un articolo pubblicato sul numero di marzo 1989, alla vigilia della competizione elettorale amministrativa ponevo: “La DC locale crede nel clientelismo o nel libero consenso?; Privilegia i gruppi consolidati di potere o le realtà emergenti?; Crede autenticamente nel rinnovamento o fa di esso un mero espediente linguistico?; Ha più fiducia negli uomini culturalmente e ideologicamente attenti o in quelli essenzialmente pragmatici?


Che ci sia a Terlizzi questa voglia di riscatto e di partecipazione è innegabile, ma come è possibile concretizzarla?

Sia attraverso i periodici locali, i siti web, i blog, i forum, le consulte delle associazioni, i notiziari dei quotidiani, sia attraverso le organizzazioni politiche, sindacali e le istituzioni, culturali e scolastiche.

Per quanto mi riguarda, unitamente ai tanti amici che si sono raccolti nei diversi movimenti che ho contribuito a far nascere e nei diversi ruoli istituzionali ricoperti, mai abbiamo mancato di far sentire la nostra voce con documenti, articoli, incontri e proposte, che abbiamo raccolto in una copiosa rassegna stampa e sul blog “http://comunepartecipato.blogspot.com/”. Con queste note ed interventi abbiamo espresso costantemente la sempre attuale esigenza di ricostruire uno spazio pubblico in cui rappresentare il bisogno di partecipazione emergente in diversi settori della comunità cittadina.


Il mondo associativo, che hai avuto modo di rappresentare per molti anni nella tua qualità di presidente della Consulta delle Associazioni, in quale misura ha inciso nel processo di crescita democratica della città?

Costruire uno spazio pubblico di discussione è un atto politico complesso e non facile a causa della pluralità, della trasversalità e, in alcuni casi, anche dell’autorerenzialità di alcuni organismi, più propensi al collateralismo con i detentori del potere, che all’autonomia delle scelte. Non si finge di non essere in politica.

La mia idea è stata sempre quella per cui non si tratta di sostituire la società civile ai partiti, ma di trovare una sede di discussione democratica in cui le istituzioni, l’amministrazione comunale e tutti i partiti si misurino e si sottopongano al giudizio costante dei cittadini. Abbiamo bisogno tutti di un momento di scambio, di cercare dentro le diverse sensibilità uno scenario positivo e propositivo, insomma un progetto da proporre.

Non sempre, purtroppo, le nostre ricorrenti richieste di essere ascoltati hanno trovato dai diversi amministratori alternatisi nel corso degli anni interlocutori attenti.


Quali sono state le proposte più significative da voi avanzate e che non hanno trovato riscontro da parte dei rappresentanti politici ed amministrativi?

Il nostro scopo è sempre stato quello di deprivatizzare la politica, senza occhi di riguardo per singoli partiti. Non avrebbe avuto senso una doppiezza in tale direzione. Non abbiamo mai avuto riserve mentali o pregiudizi ideologici. Siamo stati sempre aperti alla discussione con tutti ed in modo costruttivo e propositivo.

Personalmente resto ancora convinto, e continuo a ripeterlo nei miei articoli e nei consessi sociali e politici che mi offrono l’opportunità di parlare, che la politica deve partire dai valori per organizzare e rispondere alle speranze della gente. Politica non degenerata fatta da uomini e da partiti che fanno della solidarietà la ragion d’essere del proprio impegno concreto, efficace, partecipato. Politica che significhi non solo decidere, ma anche distribuire secondo i bisogni. E’ falsa la pretesa di ridurre la politica ad una pura organizzazione di funzioni burocratiche indifferenti a qualunque etica. Capire e interpretare, in modo razionale e non emotivo, il vero rapporto che c’è tra i cittadini e i partiti, tra i cittadini e le istituzioni è l’impegno che ieri come oggi continua a contraddistinguerci.


Su quali temi in particolare?

Per anni abbiamo insistito, con dibattiti, documenti, lettere, articoli sulla necessità di revisionare, adeguare e regolamentare gli istituti di partecipazione previsti dallo Statuto comunale, di eleggere il Difensore Civico, di promuovere la costituzione del Consiglio Comunale dei Ragazzi, del Forum dei Giovani, della Consulta degli Immigrati, della Consulta per le Pari Opportunità, della Consulta per l’Ambiente, di convocare un Consiglio comunale monotematico aperto al contributo dei ragazzi e dei giovani, di realizzare la Direttiva O.N.U. con la nomina del sindaco a Difensore civico dell’infanzia, di commissionare un’indagine conoscitiva sul fenomeno droga a Terlizzi, di istituire una commissione consiliare per la parità e le pari opportunità delle donne, di coordinare le politiche culturali, scolastiche e sociali con il mondo del volontariato e dell’associazionismo, di fare una politica di bilancio partecipata e più attenta alle esigenze dei giovani, di coinvolgere maggiormente le forze sociali, sindacali e politiche nei processi decisionali attivati per lo sviluppo socio – economico della città, di rendere l’informazione sull’attività amministrativa più puntuale e più ricca, non solo attraverso il bollettino “In Città”, che dovrebbe diventare un mensile, ma anche con incontri periodici aperti a tutta la cittadinanza.

L’ottica, insomma, è sempre stata quella di trasformare, se possibile, una serie di problemi per fare in modo che la discussione superasse il momento della critica e andasse oltre, configurando la struttura costituente di uno sviluppo partecipativo possibile.


Nello scenario politico attuale, che vede riconfermata l’amministrazione di centro-sinistra guidata dal sindaco Vincenzo Di Tria e dal neo partito di maggioranza relativa del Partito Democratico, quali domande rivolgeresti ai dirigenti politici ed agli amministratori comunali?

Quale PD deve proporsi all’elettorato nelle prossime competizioni provinciali, regionali ed europee? Quale PD deve venire fuori dalla campagna di tesseramento in corso? Quale PD deve sostenere l’Amministrazione comunale? Quale ruolo devono avere le”correnti” interne? Quale metodo deve essere usato per la scelta delle candidature ai diversi livelli istituzionali? Quali strumenti verranno adottati per favorire la massima partecipazione possibile, soprattutto dei giovani e delle donne? In quale modo saranno garantite le condizioni di agibilità politica, democratica ed interpersonale, nonché di rispetto dei ruoli, delle funzioni e dei compiti assegnati e concordati in sede di formazione del Coordinamento del Circolo e della Giunta comunale? Che cosa si farà nell’immediato per cambiare veramente il modo di fare politica e amministrazione, ossia coniugare l’autonomia della società civile, della cittadinanza sociale, della riqualificazione dell’amministrazione pubblica con il rilancio degli organi statutari, che portano a ripensare tutta l’identità del partito e a rifondare la sua cultura politica?

Sarà possibile, insomma, recuperare l’idea sturziana di “partito municipale”? L’idea, cioè, di forme della di rappresentanza della società civile, espressione di un problema reale, discusso con la gente, rispondente ai bisogni del territorio, tanto da riuscire a fare del partito un vero e proprio laboratorio per il rilancio e lo sviluppo della democrazia nella nostra città?

Ed agli amministratori comunali?

Non devo fare altro che ripetere quello che dico da quando cessai la mia esperienza di amministratore comunale trent’anni fa. In sintesi, si tratta di armonizzare metodi, contenuti e obiettivi attraverso una corretta analisi della situazione.

Innanzitutto va perseguita una maggiore qualità dell’azione amministrativa: 1) trasparenza delle procedure, dei bilanci e delle delibere attraverso un’informazione sistematica e puntuale attraverso i più svariati organi d’informazione; 2) fruizione dei diritti attraverso forme di difesa civica e di patrocinio sociale (Difensore civico, pari opportunità, Piano Sociale di zona); 3) promozione della partecipazione popolare attraverso comitati, consulte tematiche, consulte delle associazioni; Promozione del privato sociale in forme di gestione sociale e i convenzione dei servizi.

Per quanto riguarda le politiche sociali, queste vanno orientate sempre più 1) verso la lotta contro l’emarginazione, centrata su strategie di prevenzione, di accoglienza, di inserimento sociale, qualificata per prodotti-obiettivo sulla base delle diverse aree di intervento: tossicodipendenti, minori disadattati, immigrati extracomunitari, anziani soli e lungodegenti; 2) verso una politica dell’abitare e della qualità della vita, che rilanci una programmazione urbanistica qualificata sul nuovo Piano Urbanistico Generale, sul completo risanamento del Centro storico, sul recupero delle periferie e delle zone 167, su nuovi programmi di edilizia popolare, su progetti di promozione della cultura, dello sport e del tempo libero.

Relativamente alla politica locale di sviluppo; 1) occorre una politica del territorio incentrata sul risanamento ambientale, sulla ulteriore valorizzazione della vocazione produttiva (agricoltura, floricoltura e artigianato) e del mercato locale, sostenuta attraverso una politica delle infrastrutture e dei servizi; 2) bisogna, infine, realizzare una politica del lavoro che dia priorità alla promozione di un’imprenditorialità fondata sul lavoro associato e sulla piccola impresa, anche cooperativa.


Ci sono altri fini dietro queste continue sollecitazioni ?

Posso assicurare che dietro non c’è alcun altro scopo, se non quello della rinascita della vita culturale e politica della città.. Il nemico più forte resta l’individualismo, che frena la rinascita.

Il fatto che oggi sulla scena politica sta emergendo un nuovo partito, deideologizzato, pragmatico, movimentista, può modificare non solo i termini del confronto ma la qualità stessa della politica. Un esempio l’abbiamo avuto con la grande manifestazione tenutasi a Roma il 25 ottobre scorso che mi ha avuto convinto ed entusiasta partecipante e che ha dimostrato che la piazza è tornata a contare, come d’altronde, stanno dimostrando tutti coloro che continuano a protestare contro il decreto Gelmini sulla Scuola.


Ma ora contro quest’individualismo qualcosa si muove…

Certo. Noi ci muoviamo per campagne. Non siamo un soggetto politico e, perciò, discutendo riusciamo a superare le differenze su singoli oggetti. Non ci siamo mai limitati a segnalare le urgenze e le necessità della nostra comunità o a fare una sterile e qualunquistica critica ai responsabili amministrativi. Sui vari problemi relativi al bilancio comunale, all’attuazione dello Statuto, al coinvolgimento dei giovani nelle scelte che li riguardano, alla rinascita culturale, alla valorizzazione del patrimonio ambientale, al recupero delle periferie, al potenziamento dell’informazione amministrativa, all’educazione alla legalità, ai diritti di cittadinanza, alle pari opportunità, alle politiche sociali e scolastiche, alla costruzione, insomma, di una città sempre più a misura dei suoi cittadini, abbiamo sempre – con spirito costruttivo – avanzato proposte concrete e senza eccessivi oneri per le casse comunali.


Con quali risultati?

Purtroppo, molto scarsi, almeno sul piano della consultazione e della partecipazione alle scelte di fondo, come previsto dallo Statuto comunale, in larga parte disatteso dalla Civica amministrazione.

Di là dall’invito ad assistere alle diverse cerimonie e manifestazioni pubbliche, mai – ripeto - mai partiti, consiglieri comunali, amministratori hanno avvertito il bisogno di consultarci di coinvolgerci e di metterci a disposizione una sede per discutere i problemi d’interesse collettivo. Soltanto in occasione della predisposizione della bozza di bilancio previsionale siamo stati invitati, ma solo per ascoltare la relazione di accompagnamento dell’assessore alle finanze, senza alcun documento di sorta e, quindi, di possibilità d’intervento su singole voci. L’unico mezzo a nostra disposizione che abbiamo attualmente è la carta stampata e i portali web, attraverso i quali senza inutili polemiche continuiamo ad avanzare proposte.


Possiamo definirvi un laboratorio di riflessione sulla rinascita, un laboratorio aperto, che raccoglie forze positive per individuare una via alla soluzione dei problemi?

Possiamo essere considerati dei modesti operatori per la rinascita della cittadinanza attiva, formata da uomini e donne con opinioni politiche diverse, ma accomunati dalla convinzione che a Terlizzi sia necessario promuovere un contesto che esalti la creatività e le libertà individuali, ma includendo i cittadini e a tutti garantendo diritti e tutela. Puntiamo, in sintesi, a far vivere un’altra idea di politica, come esercizio della cittadinanza, come spazio pubblico.

Mi auguro che alla Consulta delle Associazioni si iscrivano un sempre maggior numero di organismi, decisi a collaborare con il nuovo Coordinamento che si andrà ad eleggere prossimamente ed a continuare a far sentire la propria voce nei termini propositivi e costruttivi che hanno caratterizzato gli interventi dei predecessori.

Un punto fondamentale resta quello della selezione dei quadri dirigenti dei partiti, degli amministratori locali, provinciali, regionali e degli stessi parlamentari nazionali ed europei. Senza una riforma dei meccanismi interni ai partiti e senza una riforma dei meccanismi elettorali sarà difficile cambiare l’attuale realtà che vede emergere, quasi fatalmente, un personale troppo dipendente dalla “pratica politica” quotidiana, insufficientemente preparato e troppo legato ai gruppi e alle risorse economiche che li sostengono. “Questo Paese non si salverà, la grande stagione dei diritti risulterà effimera, se non nascerà un nuovo senso del dovere”. (Aldo Moro)


Ma queste cose non le dicevi anche negli editoriali di vent’anni fa?

Credo che sia giunta l’ora di “Iniziare la fase costituente” così come infatti titolavo e chiedevo nell’editoriale pubblicato nel numero di agosto 1990. A distanza di 18 anni mi ritrovo ad insistere ancora sulle stesse proposte: l’applicazione per intero dell’art.6 legge di riforma delle Autonomie locali, la n. 142/’90, a partire dalla revisione dello Statuto comunale che attende ancora di vedere regolamentati e realizzati quasi tutti gli istituti di partecipazione: difensore civico, referendum, criteri per le nomine, ecc.

Ma bisogna dare anche un “taglio” nuovo alla vita dei partiti e del Comune. Come? Verificando continuamente il tipo di politica che s’intende attuare ed operando conseguentemente delle scelte politiche omogenee, idonee a raggiungere quei traguardi auspicati dagli operatori di ogni settore dell’attivismo civico.

Tutti dobbiamo essere veramente convinti che soltanto dall’apporto responsabile di ogni forza polita e sociale Terlizzi potrà ritrovare nuovi sbocchi al suo progresso e spinte efficaci per un’indilazionabile edificazione politica e culturale, che deve vedere in prima fila i suoi massimi rappresentanti istituzionali: il sindaco Vincenzo Di Tria, il presidente della Regione Nichi Vendola e l’on.le Gero Grassi .

Con un’adesione tanto solidale e pienamente partecipe, tutti insieme, ciascuno per la propria parte di responsabilità, potremo accompagnare la nostra città verso traguardi di progresso e serenità operosa, in clima di democrazia sincera e di genuina libertà.


Come potrebbe essere articolato questo programma di “cittadinanza attiva”?

A rischio di ripetermi penso che si dovrebbe procedere in queste tre direzioni, che potrebbero diventare anche la base di un vero e proprio corso di formazione civica: 1) Una comunità che educa alla cittadinanza: abitare la città; 2) Una comunità che educa alla responsabilità; 3) Una comunità che educa alla solidarietà. Questo vuol essere semplicemente un invito alla fiducia, una fiducia che deve basarsi su un impegno per invertire la marcia e per avviare un circolo virtuoso.

Quello che chiedo ora ai cittadini è di essere più attenti alla situazione sociale che sta diventando sempre più critica anche alla luce della grave depressione economica nazionale, ad un corretto e costruttivo rapporto con le istituzioni, oltre che a vivere una democrazia più autentica e perciò più attenta verso chi non ne beneficia come dovrebbe.

Un impegno che deve basarsi su tre direttrici. La prima: l’attenzione al territorio. La seconda: orientarsi nella politica attraverso una corretta informazione e senza lasciarsi strumentalizzare. La terza: esercitare la cittadinanza. In sintesi, dunque, chiedo a tutti di avere “discernimento”,vale a dire un pensiero critico che faccia capire con chiarezza come agire in modo da avere una città vivibile.

Per tutto questo dobbiamo rifiutare le tentazioni della passività, dell’individualismo dell’impazienza superficiale e del qualunquismo grillesco. Dobbiamo impegnarci tutti, al contrario, a ricreare il gusto della vita cittadina. Confermo la mia convinzione che la città può (ri)diventare dei cittadini se questi, compresi coloro che governano ed amministrano, riprendono a percorrere le strade dell’impegno e dell’appartenenza, lasciandosi alle spalle i sentieri dell’indifferenza e dell’individualismo.


Che cosa pensi del documento programmatico dell’Amministrazione Di Tria approvato dal Consiglio comunale nella seduta del 30 ottobre scorso?

Prendo con piacere atto che alcune delle nostre proposte avanzate nel corso della precedente amministrazione sono diventate parte integrante del programma amministrativo attuale. Mi riferisco in particolare, all’”impegno a cambiare il rapporto tra la politica e la società terlizzese, oltre che a mutare i rapporti di convivenza nella politica”. Il riferimento specifico è a quei cittadini con idee e competenze da spendere: professionisti, uomini di cultura, ricercatori, artigiani, imprenditori, “che non sono profeti in patria ma che sarebbero in grado di proporre soluzioni, creare alleanze, generare ricchezza, mettersi a disposizione per la propria città. E’ per questo – continua il sindaco – che vogliamo lavorare ad un vero e proprio programma denominato “Terlizzi ha talento”, consistente in una serie di iniziative, concorsi di idee, attivazione di consulte specialistiche, sperimentazioni e progetti per coinvolgere attivamente uomini e donne, ragazzi e ragazze, di buona creatività e volontà al miglioramento del nostro paese”.


Dopo aver svolto per alcuni anni il ruolo prestigioso di presidente del Collegio Regionale dei Probi Viri de “La Margherita”, anche se sei diventato coratino di adozione, hai continuato ad offrire il tuo contributo di idee e di esperienza alla nascita del nuovo soggetto politico denominato Partito democratico. Secondo te, che sei ritenuto oltre che seguace anche studioso del pensiero di Moro, il Pd sarebbe nato senza Moro?

Il Pd non è estraneo ai disegni di Moro, che voleva rendere compiuta la democrazia in Italia coronando l’emancipazione del Partito comunista dall’Unione Sovietica. Quando venne votato il referendum sul divorzio, comprese, inoltre, che le condizioni sociali dei venticinque anni seguiti alla guerra erano irrimediabilmente mutate e che la D.C. avrebbe dovuto divenire altro da quella che era stata per continuare ad esistere. Alla situazione odierna, però, hanno portato forze storiche che non dipendono da lui. Forze che superano anche tangentopoli e vanno dalla caduta del muro di Berlino all’esaurimento della ragion d’essere, nel nostro continente, delle democrazie cristiane dato che avevano raggiunto i loro obiettivi: la messa al centro della persona, l’economia sociale di mercato e la nascita dell’Unione europea. Il Partito democratico, perciò, non nasce da Moro e non sono i suoi disegni politici a confluirvi, ma molti dei suoi insegnamenti: un filone culturale che lui ha creato e dal quale nasceranno i nuovi obiettivi che noi sapremo inventarci nel solco di quelli che lui ha saputo realizzare.

Consentimi un’ultima sua citazione che appare ancora di grande attualità “ Noi non vogliamo essere gli uomini del passato, ma quelli dell’avvenire: Il domani non appartiene ai conservatori ed ai tiranni: è degli innovatori attenti, seri, senza retorica. E quel domani nella società civile appartiene, anche per questo, largamente alla forza rivoluzionaria e salvatrice del cristianesimo. Lasciamo dunque che i morti seppelliscano i morti. Noi siamo diversi, noi vogliamo essere diversi dagli stanchi e rari sostenitori di un mondo ormai superato”.


Come vuoi concludere questa conversazione condotta sul filo dei ricordi, della realtà presente e della speranza per un futuro migliore?

Con il formulare innanzitutto i migliori auguri per questa ennesima vostra pubblicazione che, che come tutte quelle che portano la firma di Gero Grassi, avrà un successo scontato anche perché i loro contenuti , come i precedenti, arricchiranno sempre di più il patrimonio documentario e archivistico della nostra cara Terlizzi.

Come già fu per la precedente pubblicazione curata da Gero nel 1984, insieme a Felice Giangaspero, ed intitolata “Terlizzi racconta: avvenimenti descritti dai protagonisti”, nella quale venivo intervistato dai due autori sulla mia esperienza amministrativa e politica, anche questa volta ho avuto il privilegio di ricevere uno spazio nel quale ho potuto attraversare gli ultimi vent’anni della mia vita culturale, sociale e politica, non solo in termini autobiografici, quanto piuttosto in termini di riflessioni e proposte, ispirate sempre alla lezione di Aldo Moro, che ancora una volta mi permetto di citare: “Abbiamo tutti idee diverse, culture diverse, eppure siamo impegnati, ognuno a sua modo, ad escludere cose mediocri per fare spazio a quelle grandi. Ecco, io credo che la mediocrità sia il nostro grande avversario in questo momento, io credo che ci sia un mondo che ci porta tutto sommato ad amare la mediocrità, perché ci toglie l’idea che possiamo fare cose importanti”.

Attraverso il Centro Studi Politici “Aldo Moro” di Corato, il Centro Studi “Quarta Fase” di Terlizzi ed “Il Confronto delle idee” continueremo ad interpretare, divulgare e realizzare il pensiero e l’opera di Aldo Moro, il cui martirio, come la sua figura umana e politica, non potranno mai essere dimenticati. Facciamo nostro il suo messaggio: altre impegnative mete culturali, sociali e politiche, infatti, sono in programma. Se alla scomparsa dell’uomo siamo ormai rassegnati, non lo siamo alla scomparsa del “mare “ di ricordi, della “storia” della sua tragica vicenda politica, della verità del suo tragico “destino, come brillantemente hanno scritto nei loro originali e fantasiosi e bei romanzi i cari amici Paolo Vallarelli “Il mare, una storia, un destino”, e Gero Grassi “, Il ministro e la brigatista”.

Maria Teresa De Scisciolo

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