La Camera dei Deputati ha approvato, la proposta di
legge n. 2.489 riguardante l’istituzione del 9 MAGGIO come giorno della memoria
dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Per quale
motivo? Perché il 9
maggio di 35 anni fa, il presidente della DC Aldo Moro veniva ritrovato morto
all’interno di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, vicino la sede
storica della Dc, in Piazza del Gesù, e via delle Botteghe Oscure, anche essa
sede storica del Partito comunista. Aveva 61 anni. Fu sepolto nel comune di
Torrita Tibertina, piccolo paese della provincia di Roma ove lo statista amava
soggiornare.
Un commando delle Brigate Rosse lo aveva
rapito il 16 marzo in via Fani dopo aver ucciso i cinque uomini della scorta:
Oreste Leopardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele
Iozzino.
Moro comunicò molto in quelle
giornate, molte furono le lettere che scrisse sia per la famiglia sia per gli
uomini del Governo e del suo partito. Tra questi destinatari non poteva mancare
il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, insediatosi per la quarta volta
il giorno del suo rapimento e deceduto il 5 maggio scorso. A questo proposito
torna molto utile la conversazione pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno
del 7 c.m. tenuta con l’on. Gero Grassi 15 anni fa a Noci. “Da amico e studioso
di Moro – scrive il vicecapogruppo del Pd alla Camera - la prima domanda non
poteva che essere: Ritiene di aver fatto tutto per salvare Moro? “Sì”, fu la
risposta secca. E aggiunse che il Governo da lui presieduto “fece tutto,
proprio tutto. Non si poteva accettare lo scambio con le Brigate Rosse, né di
fatto ci furono possibilità serie di mediazione cui pure il Governo acconsentì.
Anche il pagamento di un lautissimo riscatto fu tentato invano. Moro,
ovviamente, in una condizione di estrema difficoltà quale quella del sequestro,
non poteva che reagire duramente nelle sue lettere”.
Come sempre nei momenti critici, l’Italia seppe
trovare, in quei drammatici 55 giorni, una straordinaria compattezza sociale e
partitica che portò poi il Paese fuori dalla risacca sociale e dalla crisi
economica. Le forze politiche si unirono come un sol uomo per reagire davanti
alla barbarie e per testimoniare il valore della democrazia e del supremo
interesse del Paese.
L’istituzione di una data dedicata alla
memoria è importante per le nuove generazioni, consente di salvaguardare sempre
la verità relativa agli eventi, all’impegno di tali vittime e aiuta i più
giovani a capire come la Storia sia stata determinata dal sacrificio di molti
cittadini.
In questi giorni difficili per l’Italia e di
confronto elettorale per Corato, come Centro Studi Politici “A. Moro, vogliamo
rievocare la forza della visione profetica della politica, della cultura della
moderazione, del confronto pacato e dell’alto senso dello Stato dell’on. Aldo
Moro. Pochi giorni prima di essere rapito, in uno degli ultimi suoi interventi
al Gruppo DC alla Camera ebbe a dire che “Talora è meglio sbagliare restando
uniti che avere ognuno ragione per proprio conto”. Che queste nobili parole
risuonino oggi nei nostri cuori e ci diano la forza di guardare al domani con
la sola volontà del bene dell’Italia.
Adoperiamoci perché il ricordo di quanti
si sono sacrificati sia sempre vivo. Rendere onore ai caduti si può e si deve
farlo impegnandosi nell’agire quotidiano per il bene comune.
A trentacinque anni di distanza,
riflettere sul pensiero e sulla lezione che Aldo Moro ci ha lasciato
rappresenta un obbligo morale e politico per cercare di capire ed
interpretare i segni del nostro tempo.
Siamo in una fase di svolta della vita
del Paese che ha bisogno di stabilità, di certezze di un rinnovato spirito di
concordia nazionale che consenta di superare divisioni esasperate per
“disegnare” un nuovo rinascimento. E il pensiero di Moro può aiutarci a
comprendere in quale direzione stiamo andando.
Aldo Moro fu un illuminato precursore
politico e culturale dei problemi della contemporaneità. Fu tra i pochi, nel
mondo cattolico, a capire la portata innovativa e dirompente, nonostante
tutti i suoi limiti, del Sessantotto. Ebbe la consapevolezza che quel
sommovimento avrebbe fatto scricchiolare le fondamenta culturali del Paese.
Fu mite e tollerante, quanto deciso e lungimirante.
La sua grande eredità si fonda su una
concezione della politica come terreno di confronto da cui far emergere il
bene comune. Quindi, la capacità di ascoltare le ragioni degli altri, di
confrontarsi, di dialogare, senza steccati politici, ideologici o religiosi.
Abbiamo il dovere di recuperare e far
rivivere questi insegnamenti, questi “pensieri lunghi”, affinché l’uomo
ridiventi il centro dell’azione sociale e per realizzare finalmente una
politica dal volto “mite”.
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“Se fosse possibile dire: saltiamo questo
tempo e andiamo direttamente a domani tutti accetteremmo di farlo. Ma, cari
amici, non è possibile: oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità”. (Aldo Moro, 28 febbraio
1978).
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