Ho ascoltato con attenzione il discorso
di Giorgio Napolitano fatto dopo la rielezione alla carica di presidente della
Repubblica. Mi hanno particolarmente colpito le seguenti parole: “Dopo aver
pesantemente dimostrato all’intera nazione il livello di incapacità,
personalismo e meschinità della classe politica italiana……” mi sono andato a rileggere la lettera scritta
da Don Tonino Bello ai politici 25 anni
orsono, nella quale sono espresse osservazioni simili a quelle del
nostro acclamato presidente proprio da quei signori che sono oggetto di tali
rampogne.
E’ appena trascorso il 20° anniversario della
scomparsa dell’indimenticabile ed amatissimo Don Tonino Bello, vescovo di
Molfetta, Giovinazzo, Ruvo, Terlizzi e Ruvo dal 1982 al 1993. Questo ricordo
viene a coincidere con la particolare situazione politica nazionale e la
campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative.
Sono trascorsi ormai venti anni, ma quelle lettere sono ancora di una
disarmante attualità: vi si trova la questione morale, l’unità dei credenti, il
loro impegno in politica, il rapporto di reciproco rispetto tra Chiesa e
istituzioni laiche, lo iato crescente tra il Palazzo e i cittadini, il rischio
insito nella partitocrazia di ingenerare la tentazione dell’antipolitica.
Siamo sicuri di fare “cosa buona e giusta” riproducendo in forma
integrale alcune riflessioni che Don Tonino rivolse ai politici della sua città
il 22/12/1988 e che ho avuto il piacere di pubblicare nel mio ultimo libro “Politica e morale viaggiano su binari diversi” e che avrò l’onore di presentare tra
breve.
“I partiti – scrive Don Tonino -
secondo la Carta costituzionale, dovrebbero essere i cosiddetti “corpi
intermedi” la cui funzione è paragonabile a quella che il fusto svolge nella
pianta. Il nostro modello di Stato Sociale, infatti, assomiglia proprio ad un
albero, le cui radici sono costituite dal popolo e i cui rami sono dati dalle
pubbliche istituzioni. Il compito del fusto, cioè dei partiti, è quello di
raccogliere e coordinare le istanze vive della base per tradurle in domanda
politica organica che vada ad innervarsi sui rami.
I cittadini, quindi, sia singolarmente presi, sia associati in raggruppamenti
primari detti “mondi vitali”, sono le radici del sistema in quanto detengono la
sovranità e delegano il potere ai loro rappresentanti affinché lo esercitino
nell’interesse del bene comune. I partiti, invece, hanno il compito di
incanalare le spinte sociali organizzando il consenso popolare attorno a una
determinata politica.
La politica, perciò, secondo una splendida espressione dei vescovi
francesi, può essere definita “coagulante sociale’, in quanto stringe forze
diverse attorno ad un medesimo progetto.
E’ successo, però, purtroppo, che il fusto è impazzito a danno delle
radici e dei rami. I partiti, cioè, si sono ubriacati. Verso il basso, hanno
espropriato i cittadini e i “mondi vitali” di alcune loro mansioni primarie,
assorbendo, per esempio, l’informazione, l’editoria, la cultura, lo spettacolo,
e spesso condizionando la vita di gruppi e associazioni.
Verso l’alto, hanno invaso quasi tutte le istituzioni dello Stato, non
solo lottizzandosi gli enti pubblici esclusivamente secondo criteri di
appartenenza politica, ma mitizzando la disciplina di partito se non
addirittura di corrente) a scapito della coscienza individuale e snervando
perfino la sovranità del Parlamento, sempre più ridotto a cassa di risonanza
per accordi presi al di fuori di esso.
Non è più lo Stato sociale, ma lo Stato dei partiti. Le conseguenze di
questo circuito sono drammatiche. Da una parte, i problemi ristagnano , gli
intoppi burocratici si infittiscono, e perfino certe provvidenze di legge si
incagliano sui fondali della sclerosi amministrativa, si usurano negli intrighi
delle clientele, e naufragano nel gioco delle correnti.
Dall’altra parte, cala la fiducia nella politica, visto che è stata
ridotta alla partitocrazia non a “coagulante”, ma a “dissolvente” social.
L’opinione pubblica accentua sempre più la tendenza ad angelicare la Società e
a demonizzare lo Stato.
I giovani, pur sentendo una vivissima vocazione alla solidarietà,
preferiscono riservare il loro impegno nel volontariato: questa sta a dire che
rifiutano ormai le semplici proposte di gestione e cercano altrove i laboratori
per la rigenerazione dell’humus etico della politica.
Si tirano indietro anche gli adulti, disgustati dallo spettacolo dei
partiti che, abusando di reciproche interdizioni per osceni motivi di
ingordigia nella spartizione delle pubbliche spoglie, producono, anche nelle
nostre amministrazioni locali, paurosi ristagni, incredibili paralisi di
governo.
E’ urgente che i partiti, i quali restano sempre strumento essenziale
della nostra democrazia rappresentativa, si disintossichino dall’ubriacatura.
Si ravvedano dal loro delirio di onnipotenza. Riacquistino la sobrietà. “Concorrano, cioè, come dice l’art. 49
della Costituzione “a determinare la
politica nazionale”, ma senza la pretesa di monopolizzarla definitivamente.
E tornino al loro compito fondamentale, che è quello di ascoltare la gente,
educare i comportamenti, mediare gli interessi, e non certo di trasformarli in
forche caudine, da cui, anche per il più semplice sospiro, bisogna
necessariamente passare, attraverso sistemi di tessere, clientele e patronati
correntizi.
Attenzione, amici. Aggiustate le bilance! Perché non si ruba solo quando
si ricava profitto sulla merce. Si ruba anche quando si ricava potere sulle
coscienze. Mettete più spirito di sacrificio per arginare i guasti di tanta
disoccupazione giovanile: non con palliativi demagogici e superficiali, ma con
investimenti seri di tempo più che di soldi, di cervello più che di espedienti,
di passione più che di calcolo.
Aprire gli occhi sul degrado umano procurato dalla droga, dalla
delinquenza minorile, dai cento fenomeni di malcostume che indicano un forte
abbassamento di orizzonti etici. La siringa trovata in villa deve far
impallidire la giunta comunale più dei liquami di una fognatura, fuoriusciti in
piazza durante una cerimonia ufficiale.
Impegnatevi perché ogni scelta politica tenga sempre presente gli
ultimi. Misuratevi più decisamente con la povertà aborrendo dal gestire i
bisogni con atti occasionali, e favorendo, invece, quei piani complessivi di
intervento per i quali sono predisposte anche delle provvidenze di legge, ma
che la pigrizia o la leggerezza o l’incompetenza lasciano scandalosamente
inutilizzate.
Vigilate affinché i processi di screscente disuguaglianza tra cittadini,
o gruppi o categorie, non finisca col favorire sempre chi è in grado di
organizzare meglio la domanda, trasformando così lo Stato in commesso degli
interessi dei più forti.
Se questa “pietà” per l’uomo vi
farà anteporre alle pietre i problemi pubblici della salute, dell’educazione,
della cultura, del lavoro, del rispetto dell’ambiente, della partecipazione…
Gesù Cristo, che ha promesso il Regno a chi avrà dato un solo bicchiere d’acqua
fresca per amore, non sarà avaro neppure con chi è convinto di non averlo mai
incontrato su questa terra”.
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