martedì 12 ottobre 2010

PARTITI: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?

Dopo la pausa estiva, prima il Partito Democratico e poi il Partito Sinistra Ecologia e Liberta’, a Corato, in piazza Sedile, i maggiori partiti locali hanno voluto testimoniare la propria presenza con la cosiddetta “Festa”. Obiettivo: dibattere i temi dell’attualità politica e le proposte programma che per un governo di centro-sinistra alternativo a livello nazionale e locale.
Mentre scriviamo ci giunge notizia che anche il PDL, nel cinema Elia, sabato prossimo, farà la sua “Festa” con l’autorevole intervento del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna.
Nelle more di questo terzo evento partitico-politico, sul quale ci riserviamo di esprimere le nostre riflessioni in un secondo momento, vogliamo cogliere l’occasione per riflettere su uno degli argomenti comuni trattati dai due partiti di centro-sinistra: quello relativo alla crisi dei partiti.
Di fronte ad un pubblico esiguo, attratto più dallo spettacoli succedutisi dopo i dibattiti che dai brillanti interventi tenuti dai diversi relatori nelle due manifestazioni, ci siamo interrogati anche noi del Centro Studi Politici “A. Moro” sul valore, sulla funzione, sul rinnovamento, sulle strategie e sugli strumenti che un partito sedicente democratico e moderno deve porre in essere per riacquistare credibilità agli occhi di un elettorato sempre più stufo di assistere ad uno spettacolo indegno di una classe politica all’altezza della difficile situazione che l’Italia sta vivendo.
E’ stato ripetuto più volte, in questi ed altri convegni, che i partiti italiani appaiono poveri di idee e di programmi rispondenti alle aspettative dei cittadini; privi di strategie di largo respiro; lacerarti tra di loro e dentro di loro da lotte di mero potere; dominati all’interno da oligarchie staccate dalla base, tutte volte a perseguire interessi di gruppo minoritario privilegiato.
Sì che non stupisce che la realtà partitica del nostro Paese risulti collassata. Gli iscritti sono fortemente diminuiti. I militanti sono divenuti una specie rara. I giovani vi si tengono lontani, anzi, sembra avvertano una vera e propria ripugnanza.
Così pure sul piano elettorale trovano più adeguata spiegazione sia la crescita dell’astensionismo, sia il calo dell’identificazione con il partito votato.
Non è casuale dunque che da questa palude venga fuori una selva di cespugli partitici, dietro i quali si organizza quotidianamente – come abbiamo potuto vedere in quest’ultima estate – una guerriglia per bande intessuta di imboscate, tradimenti, minacce, ricatti, insulti.
Tutto questo ha portato ad uno snaturamento della stessa ragion d’essere dei partiti. Questi – ricordiamo – erano nati con il compito di essere a) i tramiti principali della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica; b) i protagonisti del reclutamento del ceto politico; c) le forze di elaborazione delle politiche pubbliche.
Dietro questo tradimento del dettato costituzionale si nasconde il declino vero, quello degli ideali. E c’è un aggravante: il vuoto delle motivazioni. La dialettica politica sembra trascurare i contenuti. I discorsi si involvono, s’incartano, ne nascono noiose iterazioni molto spesso fondate su un modo del protestare piuttosto gratuito.
Un tempo i partiti discutevano. Ricordiamo tutti le assemblee dei maggiori partiti che fecero epoca. Oggi, non più, al massimo qualche convegno per collazionare un po’ di classe dirigente cosiddetta “impegnata”. La conseguenza di questa carenza di contenuti ideali e programmatici è il prevalere del personalismo rissoso e defatigante da leggere, oltre che da interpretare. Ne consegue che è davvero raro trovare quella consequenzialità nei comportamenti concreti di tutti i giorni, che è il presupposto di una corretta vita politica. Consequenzialità che è un misto virtuoso di lavoro, rispetto, tolleranza, silenzio al momento giusto, capacità di attendere.
Ma dopo ciò una cosa è da fissare bene. Non è possibile porre i partiti al muro del pianto. Non lo è perché rimangono strumenti fondamentali di ogni regime democratico.
Tali soggetti oggi più che mai hanno il compito di garantire: a) la formazione di identità collettive; b) lo studio di programmi aperti agli interessi generali; c) l’elaborazione di politiche pubbliche; d) la strutturazione del voto; e) il reclutamento del personale politico.
E’ possibile rinnovarli? La risposta secondo noi è affermativa. Nella misura in cui sapranno dotarsi di una struttura duttile, pluralista, articolata. Questa esigenza può essere soddisfatta non solo attraverso un’apertura verso la società civile, intesa come trama di relazioni, legami, scelte non risolvibili di per sé nella sfera politica. Nella società civile, infatti, si radicano valori, significati, comportamenti, stili di vita, criteri di giudizio, costituenti un’area eminentemente prepolitica. Essa è il luogo in cui si strutturano e si legittimano i rapporti sociali che poi trovano espressione nella sfera istituzionale.
Più volte nei miei interventi giornalistici e sul blog (www.comunepartecipato.blogspot.com) ho ricordato il vasto mondo del volontariato e i valori di spontaneità, gratuità, condivisione, solidarietà che costituiscono il suo specifico patrimonio sociale e morale. Ricordo ancora i movimenti giovanili, femministi, ecologisti, per i diritti umani, contro la segregazione razziale, contro l’energia nucleare, ecc. Non parliamo poi dell’area del terzo settore, che nel campo delle attività economiche promuove le imprese sociali, ovverosia, quelle imprese che, in quanto non perseguono il profitto, superano la forma capitalistica. La lotta alla disoccupazione, lo sviluppo della solidarietà, la difesa della dignità del lavoro, che stanno al centro del loro impegno, esprimono motivazioni e significati di grande rilievo sociale. Significato che tuttavia non si esaurisce in se stesso, ma acquista valenza politica. Una valenza cui i partiti devono agganciarsi, se vogliono integrare esperienze solidariste in ruoli e responsabilità più generali, specifici della politica.
Ai partiti chiediamo, in conclusione, di liberarsi da ogni forma di organizzazione verticistica, di sviluppare pratiche di vasta partecipazione alle decisioni. Per i dirigenti invochiamo una formazione aperta a tutte le idee che qui andiamo esponendo, senza restare prigionieri del risucchio di apparato. Mentre per i candidati agli incarichi istituzionali la via della designazione attraverso elezioni primarie appare la più idonea a rafforzarli nella loro ricerca del consenso.

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