giovedì 7 febbraio 2013

PIU’ DONNE IN POLITICA E NELLE ISTITUZIONI



Sarà questo il tema che la capolista del PD al Senato Anna Finocchiaro tratterà su invito del Partito Democratico di Corato domenica 17 febbraio alle ore 18,00.
Un ‘argomento di grande attualità, poco trattato non solo nella corrente campagna elettorale, ma anche nelle sedi istituzionali, politiche, sociali e culturali.
La democrazia incompiuta: uomini prepotenti e donne invisibili
Basta guardare pochi dati per capire la dimensione della disparità di genere nella  politica italiana. L’ 82% dei senatori, il 79% dei deputati e il 79% dei ministri sono uomini. La situazione è particolarmente sbilanciata in alcuni partiti (PdL, Lega, UdC, IdV), ma anche nel PD gli uomini superano il 70%. Una situazione analoga si presenta nel parlamento europeo, dove l’Italia si colloca al quartultimo posto tra i 27 paesi membri, con il 78% di uomini. Che questa percentuale sia pressoché identica per i partiti di destra e di sinistra dimostra che l’esclusione delle donne non è questione di orientamento politico. Sessismo e misoginia non abitano solo a destra. Si tratta di un fenomeno generale che veicola un messaggio semplice: le donne non devono entrare in politica.
Non parliamo della nostra città, dove negli ultimi dieci anni soltanto una donna, Maria Bovino, del PD, ha potuto sedersi sugli scanni del Consiglio comunale e mai nessuna nelle giunte presiedute dal sindaco Luigi Perrone.
In Italia e a Corato serve un antitrust della politica. Non è ammissibile che un paese formato da metà uomini e metà donne sia governato da un unico gruppo, non importa quale. E’ a dir poco sconcertante che ci si scandalizzi davanti a un tribunale islamico in cui la testimonianza della donna vale metà di quella di un uomo, ma si accetti come normale un Parlamento in cui per ogni voce femminile ci sono quattro voci maschili.
Una democrazia moderna non può rinunciare alle donne
Esistono molti motivi per cui un paese democratico non può rinunciare al contributo delle donne. Ne citiamo quattro:
1) E’ una questione di giustizia. La costituzione (art. 3 e art. 51) sancisce l’eguaglianza di genere nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La sistematica esclusione delle donne dalle cariche politiche è anti-costituzionale.
2) Le leggi proposte e approvate in Parlamento riguardano donne e uomini in ugual misura. Anzi, alcuni temi su cui si esprime il Parlamento sono di particolare e, a volte, esclusiva rilevanza per le donne. Quando si decide di ridurre il tempo pieno nelle scuole pubbliche, chi pagherà maggiormente le conseguenze? Quando si decide sulla fecondazione assistita, sullo stupro, sull’ aborto, quali sono le persone direttamente interessate? In una vera democrazia, quale logica può giustificare l’esclusione di uno o dell’altro gruppo dal potere legislativo? Per una logica analoga sembra ingiustificabile che la corte costituzionale, organo vitale in qualsiasi democrazia, sia composta al 93% da  uomini.
3) Le donne sono portatrici di una cultura diversa. Ricerche psicologiche e sociologiche dimostrano che, mediamente, le donne sono più propense a condividere valori democratici come l’uguaglianza, la responsabilità sociale, l’accoglienza, la protezione dell’ambiente e meno propense ad accettare una struttura sociale gerarchica in cui un gruppo domina su di un altro e in cui le minoranze non vengono rispettate. In altre parole, sono loro le portatrici dei valori democratici per eccellenza. E’ proprio per questo che le istituzioni e, in particolare, i partiti progressisti non possono fare a meno delle donne, a meno che non vogliano rinunciare proprio alla realizzazione dei valori che li distinguono.
4) Infine, la presenza delle donne potrebbe dare un importante contributo per “fare pulizia” all’interno della scena politica italiana. Sotto il profilo etico le donne sono meno accomodanti degli uomini. E’ ben documentata la loro minore propensione alla delinquenza di qualsiasi natura, dai furti agli omicidi: solo una piccola parte dei reati commessi in Italia è imputabile a donne. Questo vale anche per molti crimini di tipo economico, come le truffe e le frodi informatiche, settori in cui solo il 22% dei reati sono compiuti da mani femminili Esiste evidenza empirica che le donne sono, mediamente, meno tolleranti rispetto alla disonestà e a pratiche immorali negli affari.
Negli ultimi anni, la politica italiana ha conosciuto un degrado etico senza confronti nel mondo occidentale, a cominciare dallo sfruttamento sessuale delle donne. In Italia, ma non solo, gli scandali a sfondo sessuale coinvolgono quasi esclusivamente politici uomini. Anche quando esercitano il potere, in genere le donne non usano la propria posizione o i propri soldi per comprare sesso e non decidono le carriere altrui in base alla disponibilità a passare per il loro letto. Lo sfruttamento sessuale non fa parte della loro cultura. Ben venga, quindi, la presenza femminile in politica.
Lo zip in politica
E’ quindi necessario un intervento drastico che favorisca il riequilibrio della rappresentanza in base al genere. Una prova evidente dell’utilità delle quote è fornita da una ricerca condotta in Italia (De Paola, Scoppa e Lombardo, 2010). L’introduzione obbligatoria delle quote di genere per le elezioni comunali è stata in vigore nel nostro paese per un breve periodo (aprile 1993 – settembre 1995) e ha quindi interessato solo i Comuni in cui si è votato in quel periodo. Si noti che la legge imponeva un numero minimo di donne (1/3) nelle liste, ma non garantiva seggi riservati alle donne. La ricerca ha rilevato che,  durante quel periodo, la rappresentanza femminile nei Consigli comunali è più che raddoppiata. Inoltre – ancora più importante – confrontando i Comuni in cui si è votato in quel periodo con quelli in cui non si è mai votato con il sistema delle quote, si è visto che nei primi la rappresentanza delle donne in politica si è mantenuta più alta che nei secondi anche dopo che le quote sono state abolite (1996-2007).  Le quote, quindi, contribuiscono a cambiare la mentalità e la cultura e il loro effetto permane anche quando non sono più in vigore.
Quale regola può ristabilire l’equilibrio tra i generi? La regola più semplice, applicabile nelle elezioni nazionali, locali ed europee, è che in ciascuna lista elettorale un posto ogni due sia assegnato a una donna, ossia che uomini e donne siano presenti in lista in modo alternato, come i denti di una cerniera lampo, come uno zip. Non è complicato. È solo questione di logica.
Bisogna dare la possibilità alle donne che ne hanno capacità, predisposizione e vocazione per l’attività politica di partecipare alla “gara” senza penalizzazioni rispetto ai colleghi maschi. Crediamo, quindi, che in Parlamento e nei Consigli regionali, provinciali e comunali, in rappresentanza dei cittadini, debbano sedere donne e uomini che abbiano dato prova di possedere competenze politiche di alto livello e grandi motivazioni.
La selezione quindi deve essere sulla qualità e non cero sulla quantità. Ciò non toglie che riteniamo necessaria un’opera di sensibilizzazione nella società, affinché sostengano con il voto quelle donne che abbiano dimostrato capacit-à. Si avverte, infatti, un grande bisogno del ,loro apparto, della loro sensibilità e della loro visione  delle cose, anche ai massimi livelli.
Siamo sicuri che il Partito Democratico, che nel proprio Statuto prevede la parità di genere, andrà oltre la data del 17 febbraio riproponendo una battaglia ideale e culturale che individui nella concezione e nella pratica della politica e nell’uso del potere uno dei fondamenti, uno dei tratti distintivi della sinistra. La politica come realizzazione del bene comune, come decisione sottoposta alla verifica dei cittadini e delle cittadine, la politica come responsabilità individuale e collettiva.

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