venerdì 28 settembre 2012

Progetto Civico “Noi liberi”: una bella scommessa



Il giorno 27 settembre scorso, in rappresentanza del Centro Studi Politici “A. Moro” ho partecipato volentieri alla presentazione ufficiale del movimento civico “Noi Liberi per Corato”. Dal relatore Antonio Patruno e da altri suoi tre amici è stato chiaramente espressa la volontà di fondare sui valori di “Etica” e “Competenza” un movimento civico aperto a tutti, senza steccati ideologici, con l’obiettivo di mettere intorno ad un tavolo tutti i cittadini che non si sentono totalmente rappresentati dagli attuali schieramenti politici, non escludendo la possibilità di costituire una lista civica concorrente alle prossime elezioni amministrative.
     Certo la strada è lunga e impervia hanno comunemente concordato alcuni degli intervenuti tra i quali il sottoscritto, che ha espresso anche auguri di buon lavoro. Interessante è apparsa la proposta di costituire dei gruppi di lavoro per lavorare, in modo concreto e fattivo, sul programma nei suoi diversi aspetti: comunicazione, scuola e politiche giovanili, sport e turismo, sanità/servizi sociali/sicurezza, servizi amministrativi, cultura, attività produttive e ambiente.
     Si tratta, a mio modesto parere, di una scommessa non facile, quella di arrivare ad avere le qualità necessarie per poter contribuire a fare di Corato Comune virtuoso. Non facile ma possibile se veramente si riuscisse a costituire il partito del buon senso e dell’onestà.
     Come ho avuto modo di suggerire nel mio ultimo libro “Partecipare per crescere insieme” ed in un recente articolo pubblicato su Coratolive il 27 scorso che un bel giorno, un giorno non lontano, stanchi di attendere e sperare in tempi migliori, i settori più attivi della società civile si riuniscano per organizzare tutti insieme il cambiamento politico nella nostra città, creando una coscienza civica ed una responsabilità civile credibile, seria, affidabile che tutti i cittadini potranno abbracciare al di là dei rispettivi percorsi politici di provenienza. Una rete, insomma, di organizzazioni socio-culturali ed imprenditoriali estranea a tutte le vecchie logiche partitiche, né a destra, né al centro e né a sinistra, ma semplicemente “avanti”…
     Un organizzazione fondata semplicemente sul “buonsenso”, che sa dire sì quando è il momento di dire sì e no quando è il momento di dire no, in modo chiaro e comprensibile a tutti: si all’integrazione, al rispetto delle diversità, al pluralismo, alla libertà d’informazione, alla pace. No al razzismo, all’esclusione, al monopolio dell’informazione, alla censura e ad ogni forma di violenza.
     Sarà così, riflettendo tutti insieme sui contenuti, che i rappresentanti della società civile - raccolti intorno a un tavolo- si accorgeranno di avere fra di loro molti più punti in comune di quanti non ne abbia mai avuti al proprio interno nessun partito nella storia repubblicana. Si renderanno conto cioè di avere creato in tutti questi momenti di impegno, non soltanto un orizzonte di valori comuni, ma anche un vero “programma” di azioni da realizzare per risollevare il paese, un programma fondato su una visione della società che nessun partito -fino ad ora- ha mai realmente promosso.
     Sarebbe un atto di coraggio e grandezza d’animo, oltre che di lungimirante umiltà!
     Un gesto di portata storica, che aprirebbe uno scenario nuovo per il paese per fondersi in uno straordinario progetto politico unitario ed aprirsi ad ogni singolo cittadino onesto del nostro paese, che inizierà da subito a presentare il proprio programma su internet, nelle piazze, in tutte le riviste della società civile, nei pub e ai concerti… spinto dall’entusiasmo di volontari di ogni età che ritroveranno finalmente il piacere di impegnarsi civilmente per il proprio paese.
     Così facendo, si riaffermerebbe con forza il valore della cultura, dell’istruzione pubblica, della sanità pubblica, dell’acqua pubblica, si ridistribuirebbe finalmente la ricchezza nel paese dopo decenni di accresciuta disuguaglianza, si stringerebbe un patto di solidarietà fra le generazioni che interromperà quella odiosa “guerra fra genitori e figli” sul piano professionale, sociale ed economico.
     E così alle elezioni la gente tornerà a sorridere, libera da quel velo grigio che impedisce oggi di guardare al futuro con speranza e serenità.
Il presidente

martedì 25 settembre 2012

ALDO MORO: AVVIATO IL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE



E’ iniziato il lungo iter che potrebbe portare, tra anni, alla santificazione dell’ex presidente della Dc ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Lo scrive il 24 settembre in via esclusiva la Gazzetta del Mezzogiorno e ripreso da numerosi giornali e canali televisivi nazionali e regionali: “Giovedì scorso il presidente del tribunale diocesano di Roma ha dato il via libera all’inchiesta sulla beatificazione di Aldo Moro dopo il nulla osta dato dal cardinal e Agostino Vallini, vicario del papa, che ha indicato lo statista «servo di Dio». Il primo a mostrarsi sorpreso dopo la diffusione della notizia è stato proprio il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana) il quale ha poi ottenuto conferma diretta della sua veridicità. Sorpresi anche diversi amici della famiglia del grande politico.
     Per raggiungere il risultato s’è attivata a Bari la Fondazione dei Centri studi Aldo Moro e Renato Dell’Andro guidata da Luigi Ferlicchia, ex assessore regionale dc e fedelissimo dello statista. Alla raccolta delle firme per la «fama di santità» hanno aderito numerose personalità religiose e istituzionali della Puglia e di altre regioni, tra le quali il prefetto Mario Tafaro e il sindaco Michele Emiliano, oltre che una lunga serie di ex politici democristiani. Il Postulatore nel «processo» è Nicola Giampaolo, uno dei pochi laici a ricoprire questoincarico.
     L’assunto del Postulatore verte sul martirio di Moro, su quei 55 lunghissimi giorni di prigionia e soprattutto sull’«odium fidei», l’odio verso la fede di assassini animati da un’ideologia in guerra contro il cristianesimo. Nella documentazione non manca un «miracolo» testimoniato da monsignor Francesco Colasuonno, originario di Grumo Appula, il cardinale «in pectore» nominato da papa Wojtyla, nonché artefice dello storico incontro tra lo stesso Giovanni Paolo II e Gorbaciov. Colasuonno ricorda i giorni dell’assalto dei guerriglieri alla nunziatura apostolica in Mozambico, quel quadro di Moro appeso al muro e il conforto provato rivolgendo a lui la sua preghiera. «Ho trovato il mio santo», disse dopo essersi messo in salvo.
     «La Chiesa dovrebbe preoccuparsi della causa di beatificazione di Aldo Moro», aveva detto, durante una sua omelia il vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, officiando in una cattedrale particolarmente affollata per la Domenica delle Palme. Nogaro, ricordando l'anniversario del rapimento dello statista e l'uccisione dei cinque uomini della scorta, si era chiesto «perché la Chiesa, che si preoccupa di interessarsi di altre cause ugualmente sentite, non promuove questa di «uno dei più alti esempi di misericordia». Il prelato, prossimo a lasciare per raggiunti limiti d'età la diocesi, aveva proseguito ricordando di aver conosciuto l'esponente della Democrazia Cristiana e di essere rimasto «impressionato dal particolare che ogni suo gesto fosse improntato alla solidarietà e all'uguaglianza, alla santità». «Nei giorni della sua prigionia, aveva poi rammentato, lui scriveva: «Io perdono tutti… Come Gesù, uomo di misericordia assoluta».
     Accanto a quel vescovo, nei giorni del Meeting dei giovani del 2008, c’era anche Agnese Moro. Allora la figlia dello statista disse: «Per noi della famiglia è importante che sia ricordato per le sue opere, la sua figura, il suo impegno, per quello che ha dato all’Italia e ai giovani, piuttosto che conoscere le responsabilità penali di chi a quell’epoca lo abbandonò». Forse in quella frase «lo abbandonò» sta ancora uno dei misteri chiave della storia repubblicana. Ed essa spiega anche, oggi, quella secca risposta alla domanda sul processo di beatificazione: «Non ne so nulla e non mi interessa»”.
     L’esito tragico della parabola personale di Aldo Moro ha lasciato l’interrogativo se, con la sua presenza, gli eventi politici avrebbero preso una direzione differente; pur consapevoli che la storia non si faccia con i se, abbiamo la certezza che il contributo di Aldo Moro alla politica italiana non si è esaurito il 9 maggio 1978, quando il suo corpo crivellato di colpi fu fatto trovare in un’automobile, una Renault 4 amaranto, parcheggiata simbolicamente nel centro della Roma politica.
     A chi non ha avuto l’onore e il piacere di conoscerlo e di seguirlo, così come è accaduto a noi non più giovani, la cui figura continuiamo a ricordare e a proporre come esempio attraverso il nostro Centro Studi che porta il suo nome, offriamo queste brevi note informative sulla sua indimenticabile figura.
La figura di Aldo Moro
     Intellettuale e credente, Aldo Moro crebbe nel filone della migliore religiosità cristiana meridionale. Esercitò un ruolo di primo piano, per oltre trent’anni, nelle vicende politiche italiane, dagli anni della Costituente fino alla sua fine tragica nel 1978.
     Ebbe in vita estimatori senza riserva ed accaniti detrattori e, anche dopo la sua morte, il suo nome è stato al centro di infinite polemiche. Fu, comunque, primariamente un intellettuale, che va compreso al di là del suo ruolo politico, per le caratteristiche proprie del suo pensiero di acuto giurista e di fine interprete del suo tempo.
In politica con uno sguardo lungimirante
     Moro, fu uomo capace di scorgere nuovi orizzonti negli scenari della politica coniugando la dote di elaborazione culturale con l’abile predisposizione di formule di governo.
     L’apertura al Partito Socialista non partì dalla ricerca di contiguità ideologica bensì da una scelta molto pragmatica, che prevedeva la convergenza su alcuni punti programmatici, da parte dei partiti alleati di governo. L’intesa con il PSI, sostenne Moro nel 1963 è “ l’unica direzione nella quale si possa guardare per la guida politica del paese e per la difesa delle istituzioni”.
     Moro ebbe a cuore anche il tema del rinnovamento morale dei partiti, non disgiunto dalla continua rivendicazione della loro centralità democratica.
     La teorizzazione della terza fase della politica italiana: a partire dal 1976, Moro aveva aperto una riflessione che non riuscì a concludere, la cui interpretazione è rimasta aperta.
     Docente e pubblicista, ha al suo attivo numerose pubblicazioni, che contengono significative analisi sui momenti salienti della vita politica italiana degli ultimi decenni. Non sfuggono alla sua indagine attenta, i segnali che anticipano l’affacciarsi nell’intreccio degli eventi della politica, di nuovi cicli.
     Nei suoi scritti non ha mancato di analizzare l’apporto delle maggiori personalità politiche del dopoguerra alla storia del nostro paese.
     È straordinario il valore simbolico che questo processo di canonizzazione assume, a fronte delle cronache in arrivo dai palazzi regionali o nazionali del potere. Poter individuare virtù eroiche in un politico contribuisce a riscattare l’intera politica dal precipizio in cui si è cacciata: incoraggia a scegliere meglio, a individuare meglio i rappresentanti cui affidarci, ad agire sempre ognuno per il bene comune nonostante le tentazioni e gli appetiti possibili.
     La strada aperta per la santità, o giù di lì, da un lato esalta il politico in questione e dall’altra affossa definitivamente un’intera classe di pubblici amministratori che andrebbe rottamata più per il suo degrado etico e valoriale che per il suo dato anagrafico.

sabato 22 settembre 2012

AREA METROPOLITANA: QUANDO SE NE PARLERA’?



     Dopo aver assistito in rappresentanza del Centro Studi Politici “A. Moro” al dibattito tenutosi a Terlizzi il giorno 20 settembre nella sala consiliare del Comune su iniziativa dell’Amministrazione comunale, che ha dato la possibilità ai consiglieri comunali ed ai numerosi cittadini presenti di ascoltare gli opportuni chiarimenti offerti dalla sen. Maria Dentamaro, assessore regionale agli Enti locali, in ordine al provvedimento governativo di ridurre il numero delle province italiane, tra cui la ridefinizione di 10 Città Metropolitane, compresa Bari, e condiviso l’invito formulato attraverso i giornali web locali il 21 c.m. dai gruppi politici di Corato Movimento Schittulli, UDC, Io Sud e dal consigliere indipendente Luigi Patruno, i quali propongono che “s’incardini un serio, concreto e democratico dialogo con l’intera comunità coratina, nelle aggregazioni sociali, culturali, politiche ed economiche in cui si esprime” - come è nostra abitudine – nell’attesa che la proposta venga accolta da chi di dovere, offriamo ai cittadini ed ai lettori un contributo chiarificatore sull’Area Metropolitana.
    E’ questo un tema che coinvolge direttamente la nostra città e che nei prossimi mesi avrà dei riverberi di grandissima importanza sul futuro amministrativo, politico e sociale del nostro territorio. Per questi motivi, sarebbe oltremodo opportuno affrontare il tema in vista della scadenza del 2 ottobre fissata dalla Cabina di regia istituita dalla Regione, obbligata ad approvarlo in Consiglio regionale entro il 24 per poi girarlo a Roma. Diversamente, sarà il Governo ad applicare il decreto dalla Regione, che a sua volta dovrà consegnare un accordo complessivo che anche il Consiglio comunale di Corato ne discuta dando la possibilità anche ai cittadini di intervenire nel dibattito.
     Com’è noto, alla fine del mese di luglio il Governo Italiano ha deliberato una serie di provvedimenti finalizzati alla riduzione della spesa pubblica che vanno sotto il nome di spending review. (Decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012). Tra questi c’è la riduzione delle Province (al posto della paventata sopressione) e la ridefinizione di 10 Città Metropolitane tra cui Bari (Legge 135) Nel testo si prevede che rimangano in piedi solo le province con almeno 350 mila abitanti e di estensione superiore a 2500 chilometri quadrati.
     Nel documento approvato si afferma tra l’altro che “Il territorio della Città Metropolitana coincide con quello della Provincia contestualmente soppressa, fermo restando il potere dei Comuni interessati di deliberare, con atto del Consiglio, l'adesione alla Città Metropolitana o, in alternativa, a una Provincia limitrofa”. Si afferma, inoltre, che “Lo statuto della Città Metropolitana può prevedere, su proposta del Comune capoluogo deliberata dal Consiglio, una articolazione del territorio del Comune capoluogo medesimo in più Comuni. In tale caso sulla proposta complessiva di statuto, è indetto un referendum tra tutti i cittadini della Città Metropolitana da effettuare entro centottanta giorni dalla sua approvazione sulla base delle relative leggi regionali”, e che “Alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto è istituita, la Conferenza metropolitana della quale fanno parte i sindaci dei Comuni del territorio nonché il presidente della Provincia, con il compito di elaborare e deliberare lo statuto della Città Metropolitana, e cessa di esistere alla data di approvazione dello statuto della Città Metropolitana o, in mancanza, il 1° novembre 2013”.
     A mostrare diffidenza e scetticismo per questa scelta del Governo nazionale sono innanzitutto alcuni  sindaci ed i rispettivi Consigli comunali che temono una perdita dei loro attuali poteri e prerogative territoriali a favore del presidente e dell’esecutivo della futura Area Metropolitana  di Bari. Un’istituzione – sostengono alcuni di essi - che non sarebbe neppure emanazione diretta della volontà popolare, bensì un organismo di grado intermedio il cui presidente verrebbe nominato dai Primi cittadini dei 41 Comuni del barese e l’assemblea sarebbe formata da una ristrettissima rappresentanza, al massimo 14 componenti, designata dai Consigli comunali dei paesi ricadenti nell’Area Metropolitana. Una rappresentanza, quindi, che essendo inferiore al numero dei Comuni da rappresentare, sarebbe gioco forza costituita soltanto dagli esponenti dei Comuni più popolosi che, forti del proprio peso numerico, riuscirebbero sempre attraverso degli accordi a portare in Consiglio un proprio esponente, a danno dei Comuni più piccoli, che si vedrebbero così costretti ad affidare sempre ad altri la loro rappresentanza nel Consiglio dell’Area Metropolitana. Un rischio, questo, che non è sottovalutato neppure dai sindaci dei Comuni maggiori per quanto riguarda l’elezione del presidente dell’Area Metropolitana, che così potrebbe essere quasi sempre appannaggio della città capoluogo, con una evidente penalizzazione di fatto per tutti gli altri grossi centri del barese.
     E’ impensabile – secondo i sindaci stessi di alcuni di questi Comuni – che il futuro Presidente ed esecutivo dell’Area Metropolitana di Bari possa usufruire di competenze maggiori di quelle oggi attribuite alla Provincia.
     A nostro modesto parere tutto ciò ci coinvolge molto da vicino, poiché ha rilevanti implicazioni sociali per la nostra comunità, e quindi anche noi invitiamo l’Amministrazione Comunale ad avviare un tavolo di confronto tra tutte le forze politiche, sociali ed economiche presenti a Corato.
     Da sempre siamo convinti della necessità, anche per evidenti ragioni di risparmio della spesa pubblica, della soppressione dell’ente “Provincia”, le cui limitate e incerte funzioni e competenze possono benissimo essere affidate in parte all’ente “Regione”, in parte ai Comuni. Apprezziamo dunque il tentativo del Governo Monti, anche se siamo convinti che la casta partitocratica ostacolerà in ogni modo anche questo parziale tentativo.
     Ne siamo dunque direttamente interessati, in quanto "il territorio della Città Metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa" (art. 18, co. 2), quindi, entreremo, in poco più di un anno e per legge (senza referendum, senza consultazioni popolari o deliberazioni di Consiglio comunale), a far parte dell'ambito territoriale della Città Metropolitana di Bari. Sia chiaro: la Città Metropolitana cancella la Provincia, non cancella i Comuni che si vedono, anzi, assieme alle Regioni incrementate le funzioni e i compiti (quelle ora della Provincia e non affidate alla Città Metropolitana).
     Ma con chi ne parliamo, con chi ci confrontiamo? Con quale sindaco e con quali forze politiche? La classe dirigente della nostra Città dovrebbe occuparsi di queste cose, con urgenza e con determinazione.
     Entro il 2 ottobre bisogna decidere collegialmente di stare insieme in questi processi di trasformazione, governarli, altrimenti Corato rischia di essere messa ai margini. C'è una grande opportunità che è data, come prevede il decreto governativo, dallo statuto della futura Città Metropolitana con cui si dovrà e potrà costruire l'architettura e l'organizzazione di tale nuovo ente (art. 18, co. 9).
     Bisogna essere presenti, attivi e propositivi per far valere l’importanza di questo territorio. Non ci interessa il tornaconto meramente egoistico, non ci interessano (anche perché, realisticamente, non ce ne saranno) le prebende assistenziali eventualmente erogate da questa o quella istituzione/Regione/Provincia/Città Metropolitana e buone solo per far campare classi politiche incapaci e parassite. In una parola, non ci interessa la rendita di posizione geografica ma solo e soltanto l’attivazione di spunti, idee e riflessioni concrete e percorribili in grado di garantire un futuro alla nostra terra.
     Il riordino del territorio regionale  è un’opportunità che va colta e portata avanti da chi ha la responsabilità della cosa pubblica o ha il mandato di rappresentanza. In questa Città dominata dai piccoli affanni quotidiani dalle piccole speculazioni elettorali, dai compromessi, dai tatticismi per mantenere una poltrona o
conquistarne una, chi è disponibile ad occuparsi di strategia territoriale, a pensare oltre il corto orizzonte degli egoismi personali, guardando al futuro?

mercoledì 19 settembre 2012

CAMPAGNA ELETTORALE AI NASTRI DI PARTENZA



     Camminando per strada la gente spesso mi chiede: chi sarà il prossimo sindaco di Corato? Beh, quelli come me ed il Centro Studi Politici “A. Moro” che seguiamo da sempre le vicende politico-amministrative della città non sono maghi, conoscono magari meglio le questioni politiche, possono fare solo pronostici, ma con questo caos che esiste nella politica coratina, è una domanda alla quale al momento è impossibile rispondere.
     Rispondo così: non sappiamo neppure chi sono i candidati certi, le varie coalizioni in campo, figurarsi il prossimo sindaco… Da qui a marzo, aprile, maggio – non è stata fissata neppure la data in cui si andrà alle urne – facile immaginare che ne succederanno tante.
     In fin dei conti è facile solo indovinare i papabili, come sempre: sono gli stessi più o meno, persone che stanno da 10 anni o forse più sulla cresta dell’onda, e pochi nuovi, che poi sarebbero persone che fanno politica da meno tempo. Di nomi al di fuori della politica, esponenti della società civile, che poi potrebbero essere i volti veramente nuovi, neanche l’ombra. Anche perché la società civile non vuole “sporcarsi le mani” e quindi il circolo diventa vizioso: ci sono sempre le stesse identiche facce perché solo loro hanno il coraggio di candidarsi, che sia a sindaco o consigliere comunale.
     Intanto, la cosa più importante ora sono le coalizioni. Il centro-destra, che ha il suo leader nell’attuale sindaco Luigi Perrone, aspirante candidato al Parlamento, deve riannodare le fila della sua compagine che non è più la stessa del 2008, essendo venuti meno alcuni importanti componenti, che in consiglio comunale sono passati al gruppo misto avendo dato vita ad altre formazioni politiche.
     Anche al centro e a sinistra ancora nulla di fatto, nonostante il susseguirsi di riunioni tese a concertare alleanze, programmi, candidature, regolamenti ed eventi. Il Pd, partito di maggioranza relativa della coalizione di centro-sinistra, che annovera cinque attivi consiglieri comunali, ha convocato tutti, ma attende chiarezza, soprattutto dall’Udc, il quale ufficialmente ancora deve comunicare le sue reali intenzioni. Evidentemente, esistono anche diverse vedute interne. Ovviamente le alleanze ipotizzate potrebbero rompersi a causa del nome del candidato a sindaco.
     Molti sono convinti, a ragione probabilmente, che i nomi verranno decisi dalle solite due-tre persone a coalizione mentre le riunione ufficiali in realtà siano solo uno specchietto delle allodole per far vedere ai militanti che qualcosa contano pure loro.
     C’è il rischio, viste le tante ambizioni, i vecchi rancori, la politica del dispetto, che ai nastri di partenza si
presentino almeno quattro-cinque candidati.
     Non tutti tengono presente i sondaggi riferiti all’assenteismo elettorale, che assegna a chi non vuole andare a votare ben il 50% perché delusi dai partiti, dalla politica e dai loro rappresentanti a tutti i livelli.
     Insomma, ci sono tanti ottimi solisti, senza un autorevole direttore d’orchestra che crei l’armonia. Nessuno ha ancora offerto il contributo per una futura Amministrazione che possa contare su una maggioranza chiara e profondamente riformatrice, espressione di quel nucleo di elettori innovativi, riflessivi, impegnati che sono la maggioranza politica e sociale del paese, senza creare alcun conflitto di ruoli tra le parti in campo perché decideranno gli elettori.
     Se ciò non avverrà, ancora di più il PD dovrà accentuare la propria fisionomia e la propria leadership plurale, per conquistare quegli elettori che ho definito innovativi, riflessivi ed impegnati: un popolo decisivo per il cambiamento della città, che non segue fughe in avanti irresponsabili ed estremismi di parte. Per questo è nato il PD, è nato per dare una casa anche a questa maggioranza diffusa, lontano da ogni populismo insomma, una “Left of center” (sinistra del centro), che vuole farsi perno di un reale contesto riformista, un contesto che non tenta di aggiungere in extremis la lezione di Togliatti al paradigma del riformismo italiano,
di cui certamente il PD non ha alcun bisogno.
     Quindi, in questo quadro e con questa finalità, il mondo con cui si sta dialogando non è solo un interlocutore, ma deve potersi sentire a casa propria nel PD veramente e profondamente orientato al cambiamento, mostrando non solo la disponibilità, ma anche l’onore di volerli sentire non solo amici, ma protagonisti di primo piano.
     Se si vogliono comunque fare coalizioni, non credo sfugga a nessuno che il programma  di governo debba essere chiaro e condiviso, quindi i candidati-sindaci debbano confrontarsi su progetti di città compatibili ed integrabili.
     Ma come appare già da subito, il confronto sarà su programmi sostitutivi e conflittuali. Bisogna assolutamente evitare che questi progetti non facciano sintesi, creino conflitto, accendano le tifoserie che al termine della partita non confluiranno a sostegno dell’altro, ma si sottrarranno.
     Così non si può. Non basta una carta d’intenti, troppo generica, la firmerebbe chiunque di buon senso. Bisogna adottare un programma e su quello i candidati-sindaci e consiglieri faranno arricchimenti e non stravolgimenti, miglioramenti non abrogazioni sostitutive.
     La nostra proposta è la seguente: accettare di sottoporre i propri programmi alla valutazione di una commissione di esperti che discuta pubblicamente le loro implicazioni finanziarie, amministrative e sociali. Non si tratta di sottoporre i partiti a una commissione d’esame, ma di aiutare il dibattito elettorale a focalizzarsi sui contenuti e non sugli umori. I problemi che la città deve affrontare richiedono competenze tecniche di cui il cittadino non può disporre.
      Se la politica ha perso la fiducia di molti cittadini, ha perso anche quella di coloro che contano nelle varie sfere della società. Se occorre un nuovo patto tra politica e cittadini, occorre anche una nuova responsabilità della politica nei confronti delle sue classi dirigenti.
     Se ci saranno primarie, queste vanno affrontate nella logica del NOI e non dell’IO, che devono dare l’idea di una squadra che vuole vincere per il Comune di Corato, e non di un continuo randellarsi tra progetti conflittuali e protagonisti che vogliono arrivare a qualunque costo anche “senza vincere” le elezioni. Bisogna, insomma, trasmettere certezze e sicurezze di coesione, unità e progetto. Questo è il senso di una classe dirigente responsabile e che vuole dare una speranza vera alla città.
     I cittadini, e noi con loro, alla fine del percorso non vogliamo trovarci a scegliere una coalizione che evoca la sinistra di ieri o meglio dell’altro altro ieri, o una brutta copia di un liberismo che evoca invece scenografie e contenuti dell’ex Forza Italia.
     Unico modo per impedirlo è un documento programmatico chiaro, sottoscritto da tutti, su tutti gli elementi fondanti e nella competizione si sceglierà l’integrativo o l’aggiuntivo, non il sostitutivo. Questa è la condizione cardine per le primarie. Le altre sono regole marginali e non importanti.
     Insomma, le primarie devono essere fatte per governare meglio e insieme, non per vincerle e dividersi. Ogni candidato alle primarie non può avere le sue alleanze, i suoi veti o la furbizia di dire dopo. Così è veramente come se si trasmettesse agli elettori l’idea di una Torre di Babele.
     Nella primavera del 2013 non ci dovrà essere una campagna elettorale gridata, astiosa, e personalizzata. Ai concittadini non interessa sapere chi ha fatto più disastri nel passato, ma interessa conoscere i rimedi che si propongono per uscire da quei disastri.. E su questa base, quindi, ognuno darà il proprio voto.