martedì 27 settembre 2011

ANCHE A CORATO I CAFFE’ LETTERARI

Come da tradizione dell’800-900, il Forum degli Autori ha deciso di istituire nella nostra città i “Caffè Letterari”. Erano questi – com’è noto – i luoghi che ospitavano gruppi di scrittori, artisti e intellettuali i quali, attraverso il dialogo e il confronto delle idee facevano nascere le teorie, i romanzi, i pensieri che hanno fatto crescere intere generazioni.

Anche a Corato si potrà fruire di uno spazio inventato e inedito, libero e vivo per parlare, per studiare, per incontrare, per scrivere, per ascoltare, per osservare, per gustare, per oziare. Il Caffè Letterario nasce per crescere con le idee, i progetti, le persone, ma, soprattutto, per trasmettere ai concittadini un’idea amichevole del libro e un approccio alla lettura non solo come rapporto privato fra individuo e testo, ma anche come motivo di relazione, di dialogo, di scambio e momento di vita quotidiana.

Questa è la nostra idea di spazio a misura d’uomo! Bar e letteratura: un connubio tipico di tante città italiane ed europee che hanno saputo fare della cultura un vero e proprio investimento.

“Non s’investe abbastanza in cultura perché si è miopi ed è più facile guardare vicino che lontano, guardare alle urgenze piuttosto che alle prospettive” ha dichiarato il presidente Napolitano. Ebbene, noi vogliamo contraddirlo facendo nostri questi obiettivi: decidere per cambiare, capire per decidere, riflettere per capire, conoscere per riflettere, informarsi per conoscere.

Non si tratta di difendere un’idea di cultura tutta accademica o che non sa mescolarsi con la vita quotidiana. Il libro deve entrare fra le abitudini delle persone, non va più visto come un oggetto misterioso.

La cultura ha bisogno di tempi lunghi, di riflessione lenta, anche di spazi, l’esatto contrario dei tempi frettolosi, delle risposte nette, del passante che guarda e se ne va, delle presentazioni e dei concerti.

Il Forum degli Autori attraverso il suo coordinamento, rappresentato dal presidente Vito De Leo e dai signori Giuseppe Arbore, Gianpaolo Balsamo, Gaetano Bucci, Maria Francesca Casamassima, Arturo De Benedittis, Annunziata Bevilacqua, Vito Di Chio, Salvatore Di Gennaro, Anna Mininno, Domenico Mazzilli, Antonio Montrone, Dino Patruno, Angela Pisicchio, Sergio Quatela, Angela Strippoli, Gerardo Strippoli, Linda Strippoli, Grazia Talia Calvi, Luigi Tosti, Franco Vangi, Rossella Zucaro, con l’istituzione dei Caffè Letterari vuole dare il suo contributo, piccolo o grande, dipenderà dalla quantità e, soprattutto, dalla qualità degli interventi dei suoi amici, alla ormai urgente rivoluzione culturale indispensabile per una svolta etica e morale della Cosa Pubblica, della Società e della Persona. “E’ il pensiero che costituisce la grandezza dell’uomo” (Blaise Pascal).

FESTA DEMOCRATICA: CONTRIBUTO AL DIBATTITO

L’antiberlusconismo dei partiti di opposizione non basta. Come l’antipolitica di gran parte della società civile non porta da nessuna parte, se non verso il qualunquismo più becero. I tre giorni di dibattito organizzati dal Partito democratico in occasione della “Festa” ci auguriamo rappresentino anche un’utile occasione per far tornare a parlarsi partiti e società civile (associazionismo, organizzazioni, liberi cittadini).

I partiti - è opinione comune – in questi ultimi anni non solo hanno conservato chiusure e forme di controllo e potere, ma si sono anche disgregati in clientelismi territoriali. Sono, insomma, nello stesso tempo molto chiusi e fin troppo aperti agli interessi esterni. Ed è un problema che riguarda anche il Pd. Come si fa ad assegnare al Pd il timone del risveglio civile? Ci auguriamo come associazione e cittadini attenti e partecipi che gli illustri relatori invitati nei giorni 29, 30 settembre e 1 ottobre in P.zza Di Vagno sappiano indicare risposte adeguate non solo in termini propositivi e progettuali alle domande, ai problemi quotidiani, alle preoccupazioni che riguardano in modo particolare i giovani, il mondo del lavoro, l’economia al fine di chiudere questa stagione asfissiante.

Prima di domandarci “con chi” si vuole governare l’Italia e il Comune, bisogna mettere in chiaro “per cosa”, con quali valori, per quali innovazioni. Se si dovrà “ricostruire” l’Italia e migliorare la qualità della vita della nostra città, si dovranno avere idee chiare e un campo più largo di quello tradizionale del centrosinistra. Progressisti e moderati, società civile e partiti, mondo del lavoro e delle imprese, donne e uomini, giovani e anziani dovranno essere sistematicamente e sinergicamente uniti in un progetto per restituire alla comunità nazionale e locale un obiettivo condiviso per il quale battersi, un interesse generale, un’idea di “bene comune”.

Il Pd deve porsi la sfida di rinnovare le sue forme dello stare insieme come partito ed aprirsi all’esterno il più possibile. E’ un percorso non semplice e ha delle resistenze, ma è un prerequisito. In particolar modo sul fronte delle “primarie” che vanno discusse e organizzate per tempo. L’esigenza di avviare un confronto politico con partiti, movimenti e associazioni per dare vita, dopo un programma condiviso e la costituzione di una coalizione, alla scelta del candidato sindaco, non può essere rinviata alla vigilia della competizione elettorale, che potrebbe svolgersi anche in anticipo rispetto alla naturale scadenza del 2013.

Bisogna cominciare subito un confronto interno ed esterno che conduca ad una sintesi unitaria, condivisa e percepita dall’elettorato come un modo nuovo di fare politica capace di avviare una riscossa possibile, una ricostruzione democratica e un nuovo patto per lo sviluppo cero, credibile ed esigibile proposto in alternativa al governo di centrodestra.

Subito dopo la “Festa” si rende necessaria un’assemblea in cui si prendono le decisioni fondamentali, si determinano le scelte strategiche e si dà voce alle attese e alle volontà degli iscritti.

Il Pd, con la sua costituzione deve ancora dimostrare in modo chiaro di aver varcato le colonne d’Ercole delle vecchie appartenenze e delle vecchie tradizioni e di stare crescendo come un soggetto politico nuovo, che ha un suo profilo netto e visibile, un suo pensiero, una sua cultura di governo, un preciso orientamento, idee chiare e un linguaggio chiaro.

Il Circolo deve essere strutturato come luogo aperto di formazione e di elaborazione, nel quale l’iniziativa e la capacità di comunicare e di costruire consenso dei democratici sono messe alla prova dalla qualità e quantità della partecipazione. Dal Circolo, insomma, deve svilupparsi un ascolto ed un confronto più largo e ravvicinato con le forze sociali, i mondi produttivi e culturali, le realt-à associative e i movimenti che si vogliono coinvolgere nel progetto per il governo cittadino.

I valori e i principi della Costituzione repubblicana devono restare la nostra bussola. Siamo nel mare aperto delle sfide inedite di questo tempo ma con la volontà e l’ambizione di scrivere un nuovo patto democratico e un nuovo patto sociale.

PERCHE’ ABBIAMO FIRMATO CONTRO IL “PORCELLUM”

Il 30 settembre prossimo scade il termine per la raccolta delle firme per l’abolizione dell’attuale legge elettorale ed il ripristino di quella precedente, il cosiddetto “Mattarellum”, con la quale è stato votato il Parlamento dal 1994 al 2006 (25 per cento di eletti su lista proporzionale e 75 per cento in collegi uninominali).

E’ ormai certo, mentre scriviamo, che le firme ottenute hanno abbondantemente superato il quorum delle 500 mila firme richieste dalla legge sul referendum popolare. Il Centro Studi Politici “Moro”, così come hanno fatto i partiti di centro-sinistra (PD,SEL,IDV, Rifondazione Comunista, PSI), la DC, l’UDC, Io Sud, Unione Popolare ha invitato aderenti e cittadini ad apporre la propria firma, sperando in un risultato soddisfacente analogo a quello ottenuto negli scorsi mesi con gli altri quattro referendum abrogativi.

Lo abbiamo fatto con convinzione perché riteniamo che l’attuale legge elettorale ha introdotto nel nostro Paese un sistema perverso di elezione dei parlamentari, di fatto conseguendo un risultato deplorevole, sotto molteplici aspetti:

· perché scippa i cittadini del diritto di esprimere la propria opinione su chi deve rappresentarli;

· perché consegna questo potere nelle mani di pochi esponenti politici;

· perché riduce il parlamento ad un’assemblea di nominati, inevitabilmente succubi delle oligarchie di partito.

Le conseguenze di questa situazione sono devastanti e sotto gli occhi di tutti, e non è esagerato dire che a risentirne è l’intera sistema democratico, non esclusa la cosiddetta “democrazia di bilancio”, che nel bilancio dello Stato trova, nella forma della mediazione contabile, la trasposizione della responsabilità e della stessa libertà di agire del parlamentare.

Il nostro augurio è che tutto ciò rappresenti un messaggio inequivoco per l’attuale Parlamento: sottrarre, al più presto, l’attuale indegna legge elettorale, non a caso denominata dallo stesso ispiratore una “legge porcata”.

venerdì 16 settembre 2011

“IL DECALOGO DEL BUON POLITICO”

Ho letto con molto interesse l’articolo dell’on. Gero Grassi pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 16 settembre, intitolato “Kant e Moro, il senso del dovere”, nel quale in modo molto opportuno e chiaro, muovendo dal trattato filosofico“Critica della Ragion Pratica”, risalente al 1797, Immanuel Kant, espone la sua concezione della morale, che deve assolutamente basarsi sul dovere. Concetto ripreso, a distanza di cento anni, da due insigni politici: Enrico Berlinguer e Aldo Moro, per i quali “la coerenza, la legalità, la trasparenza, il senso del dovere, devono orientare ogni scelta ed ogni decisione politica deve essere presa perseguendo l’interesse collettivo”. Di qui anche l’invito al Partito Democratico ad “esprimersi con chiarezza e determinazione”…”il compito della politica deve essere quello di ristabilire la giusta scala dei valori, ponendo in cima ad essi il senso del dovere ed il rispetto per le istituzioni. Soltanto così – conclude il Vicepresidente Commissione Affari sociali della Camera – si potrà perseguire il bene collettivo e ristabilire la fiducia tra politica e cittadini”.

La parola “fiducia” è letteralmente sulla bocca di tutti. Invocata come una Musa, la parola ricorre oltretutto nel lessico parlamentare (quante polemiche sui continui ricorsi al voto di fiducia), nelle analisi dei sondaggisti e, ovviamente, in tutti gli indicatori che riguardano i consumatori, gli investitori, le aspettative delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei meno abbienti. Segno, appunto, che se viene invocata così incessantemente significa che proprio di “fiducia” c’è un deficit reale nel Paese. Con qualche buon motivo del resto: perché se si risale al verbo latino fido – che significa confidare in qualcuno–in tanti potrebbero giustamente sostenere: che cosa si pretende da una società parcellizzata e disarticolata come la nostra?

A questo punto la domanda è obbligatoria: come recuperare il legame tra popolazione e rappresentanza politica? Dovremmo fare nostro, tutti quanti – politici e non – il ”Decalogo del buon politico” di don Luigi Sturzo, che ho il piacere di sottoporre alla cortese attenzione dei lettori:

1. E’ prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e realizza quel che ti è permesso.

2. Se ami troppo il danaro, non fare attività politica.

3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico.

4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità e altera la visione della realtà.

5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai molti errori.

6. E’ più facile dal NO passare al SI che dal SI retrocedere al NO. Spesso il NO è più utile del SI.

7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomini. Non disperare mai.

8. Dei tuoi collaboratori al Governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.

9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti di vista concreti che possono sfuggire agli uomini.

10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico.

Sarebbe interessante se su questi dieci punti s’instaurasse un confronto basato sulla ragione e non sull’emotività. Chi volesse usarli come strumento di misura del comportamento di uno o più politici attuali, dovrebbe farlo esclusivamente nei confronti del suo stesso schieramento politico, per esercitare una critica costruttiva, volta a cambiare le cose che non vanno. Altrimenti, cadremmo nel solito gioco delle accuse reciproche, che mai hanno cambiato e mai cambieranno alcunché, senza entrare nel merito delle questioni.

lunedì 5 settembre 2011

LA CULTURA ORA E SEMPRE

A quanto pare, la discussione sulla politica culturale del Comune di Corato continua con toni e argomenti che necessitano, tuttavia, di maggiore moderazione, chiarezza e oggettività, se non si vuole strumentalizzare un termine dal quale dipende il futuro dell’intera comunità vista nella sua poliedrica articolazione socio-politica e culturale.

Al di là delle posizioni personali che ogni cittadino ha il diritto di esprimere, occorre riportare tutto alla logica dei numeri primi, ai fondamentali come si dice in questi casi. E uno dei fondamentali su cui tutti ormai concordano è che la politica culturale di un’amministrazione è centrale in ogni strategia di sviluppo. Che non è solo circoscritta all’ambito culturale propriamente detto, ma investe tutti i settori dell’amministrare, interseca l’economia, determina i contorni e l’identità dello sviluppo di un territorio, cuce sugli amministratori l’abito con cui si presenteranno agli elettori.

La nostra amministrazione comunale, da questo punto di vista, che aspira a diventare come altre città vicine un punto di riferimento soprattutto dal punto di vista turistico, viene criticata da alcuni non per lo specifico dei contenuti ma per l’impostazione oligarchica della sua programmazione. Anche noi del Centro Studi Politici “A. Moro” più volte abbiamo proposto di considerare la cultura come investimento primario, come terreno di crescita dell’intero territorio in maniera omogenea, come collante attraverso cui legare fra loro identità culturale, capacità imprenditoriale, valore del lavoro, opportunità di futuro per i giovani.

Il Comune di Corato, cui spettano responsabilità importanti nell’indicare un modo di amministrare, questa politica non l’ha ancora pienamente evidenziata. E’ un dato di fatto, non una considerazione di merito.

La cultura di una città non si esaurisce nella realizzazione dei cosiddetti “eventi consolidati” che portano il nome di “Carnevale coratino”, “Estate coratina”, “Dicembre coratino”, per quanto prestigiosi e attraenti possano essere. Il lavoro culturale è progetto di orizzonti larghi, di uno sguardo lanciato al futuro per costruire linguaggi condivisi e percorsi praticabili da tutti, a partire da quelle periferie spoglie e senza spazi, dai soggetti deboli ed esposti alla sottocultura dominante; è viaggiare verso orizzonti lontani non circoscrivibili al piccolo cabotaggio di qualche iniziativa o alla difesa corporativa di qualche gruppo di potere.

Occorre il respiro ampio, quella cifra che consente di identificare subito un modo democratico di amministrare, più che un amministratore. La cultura è investimento totale, non solo di immagine. Non è passerella o inaugurazioni, ma costruzione faticosa di un’identità, è il mezzo attraverso cui sconfiggere la cultura dell’illegalità, delle dipendenze tossicologiche, dello scarso senso civico, per esempio. Vuol dire, in conclusione, costruire cittadini consapevoli e responsabili. Che non si accapigliano, ma lavorano per il bene comune.