venerdì 15 ottobre 2010

LETTERA APERTA AL MINISTRO PER LE PARI OPPORTUNITA’ MARA CARFAGNA

Ill.mo Ministro,
consenta anche a noi del Centro Studi Politici “A. Moro” e dell’”Associazione contro la criminalità per la legalità” di esprimerLe un cordiale benvenuto nella nostra bella cittadina ed approfittare della gradita occasione per sottoporre alla Sua cortese e competente attenzione, alcune riflessioni sull’annoso problema della violenza di cui sono ricchissime le cronache quotidiane.
Siamo lieti di constatare che l’importante evento che La vedrà intervistata sul tema delle pari opportunità coincide con la “Seconda settimana nazionale contro la violenza” (11-16 ottobre 2010), istituita dal Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio, per invitare le istituzioni scolastiche a promuovere iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione rivolte agli studenti, ai genitori e ai docenti.
In una società articolata e multiculturale, dove convivono persone provenienti da numerose nazioni, gli interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza e alle diverse forme di discriminazione basate su genere, razza/etnia, religione, disabilità, età e orientamento sessuale, la diffusione della cultura della legalità dei diritti, del rispetto verso gli altri è fondamentale per favorire un cambiamento culturale profondo che sta alla base di una società pienamente inclusiva, a partire dalle giovani generazioni.
In tale contesto, assumono particolare rilevanza gli interventi di sensibilizzazione, informazione e formazione relativi alla prevenzione e contrasto della violenza di genere, che, come ha drammaticamente evidenziato il caso della quindicenne Sarah Scazzi, rappresenta una realtà drammatica nel nostro Paese.
Il tema della violenza sui minori rappresenta un altro ambito critico in cui si rende necessario l’avvio di un percorso formativo che favorisca la conoscenza e la consapevolezza in un’ottica di prevenzione.
Inoltre, sono sempre più numerosi nelle scuole gli episodi legati a fenomeni di “bullismo” nei confronti dei “diversi”, ragazzi che si differenziano per etnia, disabilità, orientamento sessuale, come abbiamo potuto evidenziare nel nostro libro intitolato “Il Bullismo – Ricerca sui comportamenti antisociali in alunni di scuola dell’obbligo. Come rispondono scuola, famiglia, società e istituzioni?”
Considerando che la scuola ha il compito di contribuire fortemente allo sviluppo di una cultura che rifiuti la violenza e la discriminazione e diffonda la conoscenza dei diritti della persona, del rispetto verso gli altri e dell’educazione alla legalità, siamo lieti di aver appreso la notizia che in 30 istituti scolastici, con la collaborazione di 40 associazioni di volontariato delle provincie pugliesi, e l’Ufficio Scolastico regionale su iniziativa del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e dell’Assessore alla Solidarietà Elena Gentile, è stato varato il progetto “Il volontariato per la legalità e la cittadinanza solidale nelle scuole di Puglia”. Obiettivo: rieducare gli studenti pugliesi che compiono atti di bullismo, attraverso il loro coinvolgimento in attività di volontariato, in alternativa all’applicazione delle comuni sanzioni disciplinari, quali, ad esempio, la sospensione dall’attività scolastica. “Di fronte a chi chiude gli occhi, di chi mette la testa sotto la sabbia e di chi lascia andare alla deriva la scuola – hanno dichiarato gli amministratori regionali – è un primo tentativo, una sperimentazione per affrontare sinergicamente un problema divenuto sempre più preoccupante”.
Agire sul mondo scolastico, coinvolgendo le sue diverse componenti – docenti, studenti, genitori – significa, infatti, porsi in una duplice prospettiva. Quella del cambiamento, che investe le nuove generazioni, guardando in special modo agli adulti di domani, e quella della prevenzione, che analizza il presente, per contrastare degenerazioni, pregiudizi ed intolleranze.
Di bambini e di adolescenti si parla prevalentemente in occasione di fatti di cronaca nera, come sta accadendo per il terribile caso di Sara, al centro delle cronache, anche televisive, negli ultimi giorni. In questo caso, siamo ancora una volta, di fronte ad una violenza perpetrata nell’ambito familiare, e al triste intreccio tra violenza e pulsioni sessuali di adulti nei confronti di adolescenti.
Questo, come i tanti episodi che assurgono all’onore della cronaca, rimandano ad un’evidente fragilità educativa e relazionale, presente in una categoria minoritaria di famiglie.
Più in generale le analisi sulla funzione educativa nella famiglia e nella società rimandano ad una crisi di senso delle funzioni di apprendere e dell’insegnare, tenuta in vita ormai da poche minoritarie agenzie educative extrascolastiche, come gli scout e le attività degli oratori.
Il compito, allora, è quello di ripensare il ruolo educativo, rilanciando lo scambio tra generazioni sul piano della condivisione dei valori più profondi e degli obiettivi civili, politici, sociali, lavorando per la costruzione di un contesto educativo più largo attorno alle tradizionali agenzie di socializzazione ed istruzione e sostenendo la famiglia nel suo ruolo educativo.

martedì 12 ottobre 2010

PARTITI: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?

Dopo la pausa estiva, prima il Partito Democratico e poi il Partito Sinistra Ecologia e Liberta’, a Corato, in piazza Sedile, i maggiori partiti locali hanno voluto testimoniare la propria presenza con la cosiddetta “Festa”. Obiettivo: dibattere i temi dell’attualità politica e le proposte programma che per un governo di centro-sinistra alternativo a livello nazionale e locale.
Mentre scriviamo ci giunge notizia che anche il PDL, nel cinema Elia, sabato prossimo, farà la sua “Festa” con l’autorevole intervento del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna.
Nelle more di questo terzo evento partitico-politico, sul quale ci riserviamo di esprimere le nostre riflessioni in un secondo momento, vogliamo cogliere l’occasione per riflettere su uno degli argomenti comuni trattati dai due partiti di centro-sinistra: quello relativo alla crisi dei partiti.
Di fronte ad un pubblico esiguo, attratto più dallo spettacoli succedutisi dopo i dibattiti che dai brillanti interventi tenuti dai diversi relatori nelle due manifestazioni, ci siamo interrogati anche noi del Centro Studi Politici “A. Moro” sul valore, sulla funzione, sul rinnovamento, sulle strategie e sugli strumenti che un partito sedicente democratico e moderno deve porre in essere per riacquistare credibilità agli occhi di un elettorato sempre più stufo di assistere ad uno spettacolo indegno di una classe politica all’altezza della difficile situazione che l’Italia sta vivendo.
E’ stato ripetuto più volte, in questi ed altri convegni, che i partiti italiani appaiono poveri di idee e di programmi rispondenti alle aspettative dei cittadini; privi di strategie di largo respiro; lacerarti tra di loro e dentro di loro da lotte di mero potere; dominati all’interno da oligarchie staccate dalla base, tutte volte a perseguire interessi di gruppo minoritario privilegiato.
Sì che non stupisce che la realtà partitica del nostro Paese risulti collassata. Gli iscritti sono fortemente diminuiti. I militanti sono divenuti una specie rara. I giovani vi si tengono lontani, anzi, sembra avvertano una vera e propria ripugnanza.
Così pure sul piano elettorale trovano più adeguata spiegazione sia la crescita dell’astensionismo, sia il calo dell’identificazione con il partito votato.
Non è casuale dunque che da questa palude venga fuori una selva di cespugli partitici, dietro i quali si organizza quotidianamente – come abbiamo potuto vedere in quest’ultima estate – una guerriglia per bande intessuta di imboscate, tradimenti, minacce, ricatti, insulti.
Tutto questo ha portato ad uno snaturamento della stessa ragion d’essere dei partiti. Questi – ricordiamo – erano nati con il compito di essere a) i tramiti principali della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica; b) i protagonisti del reclutamento del ceto politico; c) le forze di elaborazione delle politiche pubbliche.
Dietro questo tradimento del dettato costituzionale si nasconde il declino vero, quello degli ideali. E c’è un aggravante: il vuoto delle motivazioni. La dialettica politica sembra trascurare i contenuti. I discorsi si involvono, s’incartano, ne nascono noiose iterazioni molto spesso fondate su un modo del protestare piuttosto gratuito.
Un tempo i partiti discutevano. Ricordiamo tutti le assemblee dei maggiori partiti che fecero epoca. Oggi, non più, al massimo qualche convegno per collazionare un po’ di classe dirigente cosiddetta “impegnata”. La conseguenza di questa carenza di contenuti ideali e programmatici è il prevalere del personalismo rissoso e defatigante da leggere, oltre che da interpretare. Ne consegue che è davvero raro trovare quella consequenzialità nei comportamenti concreti di tutti i giorni, che è il presupposto di una corretta vita politica. Consequenzialità che è un misto virtuoso di lavoro, rispetto, tolleranza, silenzio al momento giusto, capacità di attendere.
Ma dopo ciò una cosa è da fissare bene. Non è possibile porre i partiti al muro del pianto. Non lo è perché rimangono strumenti fondamentali di ogni regime democratico.
Tali soggetti oggi più che mai hanno il compito di garantire: a) la formazione di identità collettive; b) lo studio di programmi aperti agli interessi generali; c) l’elaborazione di politiche pubbliche; d) la strutturazione del voto; e) il reclutamento del personale politico.
E’ possibile rinnovarli? La risposta secondo noi è affermativa. Nella misura in cui sapranno dotarsi di una struttura duttile, pluralista, articolata. Questa esigenza può essere soddisfatta non solo attraverso un’apertura verso la società civile, intesa come trama di relazioni, legami, scelte non risolvibili di per sé nella sfera politica. Nella società civile, infatti, si radicano valori, significati, comportamenti, stili di vita, criteri di giudizio, costituenti un’area eminentemente prepolitica. Essa è il luogo in cui si strutturano e si legittimano i rapporti sociali che poi trovano espressione nella sfera istituzionale.
Più volte nei miei interventi giornalistici e sul blog (www.comunepartecipato.blogspot.com) ho ricordato il vasto mondo del volontariato e i valori di spontaneità, gratuità, condivisione, solidarietà che costituiscono il suo specifico patrimonio sociale e morale. Ricordo ancora i movimenti giovanili, femministi, ecologisti, per i diritti umani, contro la segregazione razziale, contro l’energia nucleare, ecc. Non parliamo poi dell’area del terzo settore, che nel campo delle attività economiche promuove le imprese sociali, ovverosia, quelle imprese che, in quanto non perseguono il profitto, superano la forma capitalistica. La lotta alla disoccupazione, lo sviluppo della solidarietà, la difesa della dignità del lavoro, che stanno al centro del loro impegno, esprimono motivazioni e significati di grande rilievo sociale. Significato che tuttavia non si esaurisce in se stesso, ma acquista valenza politica. Una valenza cui i partiti devono agganciarsi, se vogliono integrare esperienze solidariste in ruoli e responsabilità più generali, specifici della politica.
Ai partiti chiediamo, in conclusione, di liberarsi da ogni forma di organizzazione verticistica, di sviluppare pratiche di vasta partecipazione alle decisioni. Per i dirigenti invochiamo una formazione aperta a tutte le idee che qui andiamo esponendo, senza restare prigionieri del risucchio di apparato. Mentre per i candidati agli incarichi istituzionali la via della designazione attraverso elezioni primarie appare la più idonea a rafforzarli nella loro ricerca del consenso.

PARTITI: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?

Dopo la pausa estiva, prima il Partito Democratico e poi il Partito Sinistra Ecologia e Liberta’, a Corato, in piazza Sedile, i maggiori partiti locali hanno voluto testimoniare la propria presenza con la cosiddetta “Festa”. Obiettivo: dibattere i temi dell’attualità politica e le proposte programma che per un governo di centro-sinistra alternativo a livello nazionale e locale.
Mentre scriviamo ci giunge notizia che anche il PDL, nel cinema Elia, sabato prossimo, farà la sua “Festa” con l’autorevole intervento del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna.
Nelle more di questo terzo evento partitico-politico, sul quale ci riserviamo di esprimere le nostre riflessioni in un secondo momento, vogliamo cogliere l’occasione per riflettere su uno degli argomenti comuni trattati dai due partiti di centro-sinistra: quello relativo alla crisi dei partiti.
Di fronte ad un pubblico esiguo, attratto più dallo spettacoli succedutisi dopo i dibattiti che dai brillanti interventi tenuti dai diversi relatori nelle due manifestazioni, ci siamo interrogati anche noi del Centro Studi Politici “A. Moro” sul valore, sulla funzione, sul rinnovamento, sulle strategie e sugli strumenti che un partito sedicente democratico e moderno deve porre in essere per riacquistare credibilità agli occhi di un elettorato sempre più stufo di assistere ad uno spettacolo indegno di una classe politica all’altezza della difficile situazione che l’Italia sta vivendo.
E’ stato ripetuto più volte, in questi ed altri convegni, che i partiti italiani appaiono poveri di idee e di programmi rispondenti alle aspettative dei cittadini; privi di strategie di largo respiro; lacerarti tra di loro e dentro di loro da lotte di mero potere; dominati all’interno da oligarchie staccate dalla base, tutte volte a perseguire interessi di gruppo minoritario privilegiato.
Sì che non stupisce che la realtà partitica del nostro Paese risulti collassata. Gli iscritti sono fortemente diminuiti. I militanti sono divenuti una specie rara. I giovani vi si tengono lontani, anzi, sembra avvertano una vera e propria ripugnanza.
Così pure sul piano elettorale trovano più adeguata spiegazione sia la crescita dell’astensionismo, sia il calo dell’identificazione con il partito votato.
Non è casuale dunque che da questa palude venga fuori una selva di cespugli partitici, dietro i quali si organizza quotidianamente – come abbiamo potuto vedere in quest’ultima estate – una guerriglia per bande intessuta di imboscate, tradimenti, minacce, ricatti, insulti.
Tutto questo ha portato ad uno snaturamento della stessa ragion d’essere dei partiti. Questi – ricordiamo – erano nati con il compito di essere a) i tramiti principali della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica; b) i protagonisti del reclutamento del ceto politico; c) le forze di elaborazione delle politiche pubbliche.
Dietro questo tradimento del dettato costituzionale si nasconde il declino vero, quello degli ideali. E c’è un aggravante: il vuoto delle motivazioni. La dialettica politica sembra trascurare i contenuti. I discorsi si involvono, s’incartano, ne nascono noiose iterazioni molto spesso fondate su un modo del protestare piuttosto gratuito.
Un tempo i partiti discutevano. Ricordiamo tutti le assemblee dei maggiori partiti che fecero epoca. Oggi, non più, al massimo qualche convegno per collazionare un po’ di classe dirigente cosiddetta “impegnata”. La conseguenza di questa carenza di contenuti ideali e programmatici è il prevalere del personalismo rissoso e defatigante da leggere, oltre che da interpretare. Ne consegue che è davvero raro trovare quella consequenzialità nei comportamenti concreti di tutti i giorni, che è il presupposto di una corretta vita politica. Consequenzialità che è un misto virtuoso di lavoro, rispetto, tolleranza, silenzio al momento giusto, capacità di attendere.
Ma dopo ciò una cosa è da fissare bene. Non è possibile porre i partiti al muro del pianto. Non lo è perché rimangono strumenti fondamentali di ogni regime democratico.
Tali soggetti oggi più che mai hanno il compito di garantire: a) la formazione di identità collettive; b) lo studio di programmi aperti agli interessi generali; c) l’elaborazione di politiche pubbliche; d) la strutturazione del voto; e) il reclutamento del personale politico.
E’ possibile rinnovarli? La risposta secondo noi è affermativa. Nella misura in cui sapranno dotarsi di una struttura duttile, pluralista, articolata. Questa esigenza può essere soddisfatta non solo attraverso un’apertura verso la società civile, intesa come trama di relazioni, legami, scelte non risolvibili di per sé nella sfera politica. Nella società civile, infatti, si radicano valori, significati, comportamenti, stili di vita, criteri di giudizio, costituenti un’area eminentemente prepolitica. Essa è il luogo in cui si strutturano e si legittimano i rapporti sociali che poi trovano espressione nella sfera istituzionale.
Più volte nei miei interventi giornalistici e sul blog (www.comunepartecipato.blogspot.com) ho ricordato il vasto mondo del volontariato e i valori di spontaneità, gratuità, condivisione, solidarietà che costituiscono il suo specifico patrimonio sociale e morale. Ricordo ancora i movimenti giovanili, femministi, ecologisti, per i diritti umani, contro la segregazione razziale, contro l’energia nucleare, ecc. Non parliamo poi dell’area del terzo settore, che nel campo delle attività economiche promuove le imprese sociali, ovverosia, quelle imprese che, in quanto non perseguono il profitto, superano la forma capitalistica. La lotta alla disoccupazione, lo sviluppo della solidarietà, la difesa della dignità del lavoro, che stanno al centro del loro impegno, esprimono motivazioni e significati di grande rilievo sociale. Significato che tuttavia non si esaurisce in se stesso, ma acquista valenza politica. Una valenza cui i partiti devono agganciarsi, se vogliono integrare esperienze solidariste in ruoli e responsabilità più generali, specifici della politica.
Ai partiti chiediamo, in conclusione, di liberarsi da ogni forma di organizzazione verticistica, di sviluppare pratiche di vasta partecipazione alle decisioni. Per i dirigenti invochiamo una formazione aperta a tutte le idee che qui andiamo esponendo, senza restare prigionieri del risucchio di apparato. Mentre per i candidati agli incarichi istituzionali la via della designazione attraverso elezioni primarie appare la più idonea a rafforzarli nella loro ricerca del consenso.

lunedì 4 ottobre 2010

PERCHE’ GOVERNARE CON I CITTADINI

Mentre l’attuale Amministrazione comunale è in carica da oltre due anni, la maggior parte delle Consulte comunali non sono stati ancora insediate o rese operative. E’ questa una delle interrogazioni che il consigliere comunale del PD Tommaso Loiodice, riferendosi allo Statuto comunale, ha rivolto al sindaco nell’ultimo Consiglio comunale del 30 settembre.
Lo Statuto comunale, al Capo II, intitolato “Istituti di partecipazione”, che comprende gli articoli che vanno dal n. 48 al n. 61, prevede, infatti, all’art. 53 le “Consulte permanenti”. Si tratta – è detto nel comma 1 - di organi consultivi stabili in materia di sanità, sviluppo economico, interventi a favore dei giovani, sport, assistenza, salvaguardia ambientale formate da rappresentanti di associazioni, ordini professionali, organizzazioni sindacali, imprenditoriali e di volontariato, che esprimono un loro motivato parere preventivo su tutti gli argomenti nei rispettivi settori di competenza che debbono essere esaminati dalla Giunta o dal Consiglio. Esse possono altresì esprimere di propria iniziativa pareri, suggerimenti e richieste di intervento a tutti gli organi comunali”.
Di queste, soltanto la Consulta permanente della Cultura, risulta insediata ed operativa attraverso la sua presidente Stefania Stefanachi. Tutte le altre risultano ancora assenti nel panorama democratico della nostra città. Bene ha fatto quindi il consigliere comunale a chiedere spiegazioni al sindaco, il quale ha risposto che s’informerà ed agirà di conseguenza.
Al di là di ogni altra considerazione sulla vicenda, noi ci limitiamo a richiamare semplicemente l’art. 52 dello Statuto denominato “Consultazioni” il quale così si esprime al comma 1: “Il Regolamento della Giunta e del Consiglio comunale prevede forme di consultazione di ampie categorie di cittadini (lavoratori, studenti, forze sindacali e sociali, ordini, albi e associazioni professionali) da attuarsi ogni volta che i tempi di deliberazione lo consentono. Al comma 2 è scritto: “I risultati delle consultazioni devono essere riportati negli atti del Consiglio comunale e dei Consigli Circoscrizionali che ne fanno esplicita menzione nelle inerenti deliberazioni”. E al comma 3: “La consultazione può essere indetta anche per categorie di giovani non ancora elettori”. Relativamente a quest’ultimo comma, ricordiamo che, pur essendo stati insediati e resi operativi, il Consiglio Comunale dei Ragazzi e il Forum dei Giovani, che come Centro Studi ”A. Moro” abbiamo avuto il piacere di proporre e di vedere attuarti, non ci risulta siano mai stati consultati.
Le regole, dunque, ci sono, ma servono anche modalità formali di assunzione delle responsabilità per consolidare i rapporti di fiducia tra l’Ente locale e i cittadini, che non devono continuare ad esercitare una delega in bianco, ma una co-costruzione di opportunità, di risposte, di occasioni, di servizi, cercando ognuno per il suo ruolo, di costruire valore comune.
Regole e responsabilità, quindi, sono due aspetti collegati tra loro e questo vale sicuramente nel rapporto tra l’Amministrazione e i cittadini, ma vale anche quando i sistemi di regole sono interni alle amministrazioni e servono, come in diversi casi accade, per coordinare le politiche della partecipazione.
L’esperienza fatta nella mia veste di presidente della Consulta delle Associazioni del Comune di Terlizzi e di vicepresidente della Consulta della Cultura del Comune di Corato, al di là delle differenze territoriali, continuano ad evidenziare che i cittadini non sono “educati” alla partecipazione e, in molte circostanze, non sono “formati” per contribuire in modo efficace alla formazione dei processi decisionali.
Spesso accade che propongano, rispetto al problema sul quale sono chiamati ad esprimersi, opinioni basate su informazioni parziali. In altri casi avviene che i cittadini mettano a disposizione la loro buona volontà ma siano carenti delle competenze che necessitano per la gestione dei servizi. Molte esperienze mettono in luce come siano fragili gli equilibri che si determinano, salvo riuscire a coinvolgere stabilmente soggetti, come le associazioni per esempio, che più facilmente danno continuità negli anni alla loro missione istituzionale e possono rendere più stabile il rapporto con le istituzioni.
La complessità della gestione dei processi inclusivi e degli strumenti per la partecipazione richiede, spesso, la presenza di esperti esterni all’Ente. Così è stato fatto dal nostro sindaco lo scorso anno in occasione delle consultazioni per il Piano Urbanistico Generale (PUG), coordinate dall’arch. Maria Teresa Cuonzo, la quale, però, nonostante il proprio impegno nei dieci incontri effettuati con diversi interlocutori, non è riuscita a riunire più di venti soggetti per volta. Non parliamo poi del cosiddetto “Bilancio partecipato”, promosso dall’Assessore alla Programmazione Massimo Mazzilli che non ha mai visto partecipare più di dieci cittadini. Nonostante vi fossero coinvolti ben tre Comuni: Corato, Ruvo e Terlizzi per la redazione del Piano Sociale di Zona, ancora più deludente è stata la partecipazione dei rappresentanti delle associazioni socio-sanitarie, che non hanno mai superato il tetto complessivo di 15 partecipanti.
Processi di questo tipo che si basano soltanto sui regolamenti amministrativi, se non sono costanti e sistematici, coerenti e diffusi come modalità generalizzata di lavoro dell’Amministrazione rischiano di trasformarsi in un boomerang, creando fratture difficilmente recuperabili con i cittadini. Per dare solidità a queste esperienze, occorre continuità e perciò l’individuazione di figure capaci di seguire in modo continuativo le attività: preparare e distribuire materiali, animare le comunità che si creano, progettare e realizzare azioni di formazione, attivare altri attori interni all’ente oppure esterni per rendere più efficaci le risposte.
Obiettivi tanto ambiziosi possono essere raggiunti solo se le risorse, anche informali, presenti in città, si attivano complessivamente per contribuire a condividere le decisioni e ad affrontare in modo responsabile la riqualificazione delle modalità di produzione delle politiche pubbliche e di erogazione dei servizi.
Per queste ragioni il 14, 15 e 16 ottobre, in occasione della Settimana Europea della Democrazia Locale (SEDL), organizzata e promossa dal Consiglio d’Europa, gradiremmo che l’Amministrazione comunale promuovesse con i cittadini ed altri partner locali, tre giornate di studio e di confronto, sul tema del cambiamento nelle relazioni tra istituzioni e cittadini con particolare riferimento alle questioni dei cambiamenti nei processi decisionali e della solidarietà orizzontale. Si rafforzerebbe così la percezione della democrazia locale da parte dei cittadini come valore comune europeo e come base per costruire una società più democratica.

sabato 2 ottobre 2010

LA SFIDA EDUCATIVA TRA EMERGENZA E CRISI ANTROPOLOGICA

Il giorno 29 settembre nella bella sala dell’Istituto Statale d’Arte di Corato, alla presenza di un folto gruppo di docenti delle scuole di ogni ordine e grado di Corato e di Andria, su iniziativa della Consulta permanente della Cultura, e dalla Commissione pedagogica, coordinata da Arcangelo Speranza, con il patrocinio dell’Amministrazione comunale, abbiamo potuto partecipare al convegno sul tema “La sfida educativa tra emergenza e crisi antropologica: a scuola da protagonisti”, organizzato nell’ambito delle manifestazioni previste per il “Settembre pedagogico”.
All’interessante relazione tenuta dal prof.Giuseppe Desideri, presidente nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (A.I.M.C.) sono seguiti, oltre ai saluti della presidente della Consulta Permanente della Cultura Stefania Stefanachi, dell’assessore alla P.I. Franco Caputo e del consigliere delegato alla Cultura Giuseppe D’Introno, gli interventi, regolati dal coordinatore Franco Zucaro, dei docenti Lucrezia Colucci (3° Circ. didattico), Giuseppe D’Ercole (Liceo classico “Sylos”), delle dirigenti Tina Rutigliano (1° Circolo) e Stella Ribatti (di Andria) e dei docenti in pensione Pina Masciavè, don Cataldo Bevilacqua e del sottoscritto.
L’occasione è stata propizia per fare il punto della situazione scolastica, anche alla luce dei recenti provvedimenti governativi, al centro – com’è noto - di animate discussioni politiche e proteste, soprattutto da parte dei docenti precari e delle famiglie.
E’ solo colpa dei ragazzi, della loro svogliatezza e del loro profitto deludente, se la scuola versa in una crisi strutturale, pedagogica, metodologica e didattica? O c’entrano qualche cosa anche i metodi d’insegnamento, la capacità di un professore di far presa sulla sua classe, senza imporre e senza accondiscendere, la sua buona cultura personale e la sua passione professionale? Sono state queste le domande alle quali il relatore Giuseppe desideri ha tentato di fornire una risposta convincente.
Il passaggio da una scuola elitaria, per i pochi che avrebbero dovuto costituire la classe dirigente del futuro, ad una scuola di massa, aperta ad una popolazione studentesca estremamente eterogenea per bisogni formativi, interessi, aspirazioni ha trovato – secondo il relatore - la classe docente impreparata sia dal punto di vista metodologico sia da quello organizzativo e relazionale.
La risoluzione dei problemi volti a garantire il successo scolastico e lo sviluppo armonico e integrato della personalità dei discenti – è stato detto - non può avvenire attraverso una prassi didattica prevalentemente basata sulla lezione frontale e attraverso gli strumenti valutativi del passato.
La rapida evoluzione industriale, postindustriale, informatica e tecnologica – ha proseguito - ha portato ad un cambiamento del modo di vivere, ha allargato gli orizzonti di interesse, ha ridotto la possibilità di interazione con la natura e con gli oggetti che ci circondano, divenuti sempre più complessi, ha accelerato i ritmi di vita e ha ridotto alcune modalità di interazione e di comunicazione, creandone di nuove.
Il cambiamento – è la conclusione condivisa da tutti gli intervenuti - al di là delle recenti disposizioni ministeriali, deve avvenire a partire da coloro che la scuola la vivono e la subiscono direttamente, in quanto nessuna formazione imposta e forzata che non sia frutto di una spontanea ricerca lascia traccia, diventa conoscenza e consapevolezza; questo richiede da parte di tutti i soggetti interessati (studenti, famiglie, docenti e istituzioni) anche una sensibilità, una disponibilità a mettersi in discussione, a confrontarsi, a condividere e a collaborare.
Nel mio breve intervento ho evidenziato che in realtà molti insegnanti si sono fatti carico dei problemi nuovi che la scuola doveva risolvere, molti hanno cercato, in modo più o meno autonomo ed empirico – come ho avuto modo di evidenziare nel mio libro di prossima pubblicazione sul bullismo scolastico - di trovare soluzioni e strategie per superare gli incidenti di percorso. Alcuni hanno intrapreso corsi di formazione nella speranza di ricevere indicazioni e supporti che, trasferiti nella classe, consentissero di fare meglio il loro lavoro, di costruire con gli alunni un percorso di crescita e di maturazione condiviso.
Il loro entusiasmo, il loro impegno (come mi hanno confessato i colleghi delle due scuole medie con le quali ho collaborato nella mia veste di esperto PON per i corsi di educazione alla legalità ed alla cittadinanza) non sono stati sempre riconosciuti e gratificati, spesso i successi preventivati ed attesi non si sono avuti e ciò ha portato, in alcuni casi, ad uno strato di frustrazione e di sconforto, anche per mancanza di un’assistenza qualificata che una volta era fornita dall’operatore psicopedagogico.
Celebrare il 5 ottobre la 10^ “Giornata mondiale degli insegnanti”, istituita dall’Unesco nel 1993, può essere l’occasione per ricordare a tutti che i docenti, giorno per giorno, promuovono e costruiscono, con i loro studenti, i valori del dialogo, della tolleranza, del rispetto e della solidarietà, che sono le basi del vivere democratico.
La giornata mondiale degli insegnanti - ha evidenziato il presidente nazionale dell’AIMC - è una data poco ricordata. Facciamo nostro - come Centro Studi Politici “A. Moro” - il suo invito a considerare gli insegnanti non più burocrati esecutori, ma responsabili professionisti di scuola, che godono del giusto riconoscimento sociale.
Proprio in nome della professionalità riconosciuta ai docenti, chiediamo anche noi per questi ultimi condizioni per poter esercitare legittima e competente partecipazione ai processi innovativi della scuola sia nel momento attuativo, sia nella fase progettuale. La competenza acquisita attraverso percorsi formativi ed arricchita dal riflettere sulla pratica scolastica è patrimonio che essi desiderano mettere a disposizione in un confronto aperto e connotato da un corretto gioco delle parti nel quale il piano legislativo, quello sindacale e quello più propriamente professionale trovano complementarietà nel rispetto della specificità di ognuno.
Ricordare la “Giornata degli insegnanti” non è, dunque, né gesto corporativo, né puro atto celebrativo, ma occasione per riproporre all’opinione pubblica, al mondo politico ed alle istituzioni il lavoro silenzioso e, spesso, poco apprezzato di quanti si sono spesi e si spendono quotidianamente per la scuola