mercoledì 26 agosto 2009

Festa patronale: connubio tra religiosità popolare e folklore. E’ sufficiente?

Anche quest’anno il 22, 23 e 24 agosto l’ormai storico appuntamento con San Cataldo ha avuto luogo con una partecipazione straordinaria di cittadini e di turisti. La tradizione è stata di scena nella nostra città: sono tornati le luminarie, i fuochi, i concerti bandistici, il lunapark, i cantanti, ecc. E’ tornata la Festa “Maggiore”, unica e rara, intrisa di misticismo, di devozione, di musica, di incontri e di tante potenzialità, che, a nostro parere, andrebbero meglio messe a frutto.

La Festa patronale, infatti, è da sempre una manifestazione appassionata di sentimenti religiosi e delle radici culturali del popolo coratino; un monumento nobile della storia e della cultura della nostra città in cui il felice connubio tra religiosità popolare e folklore ci permette di fare memoria e di riassaporare certe tradizioni senza le quali Corato sarebbe un deserto senza storia, senza linguaggio, senza identità.

La Festa ha il gran merito di risvegliare la coscienza storica e l’identità culturale che possono aiutare non solo a ritrovare le radici e la memoria , ma anche a recuperare la dignità, le storiche bellezze e la genialità di un territorio ricco di risorse che ha solo bisogno di promozione.

I valori ed i costumi popolari, le usanze e i sapori passati, le forme e i modi di una ritualità contadina tramandati di generazione in generazione oggi hanno bisogno di coniugarsi con elementi nuovi, più consoni all’evoluzione dei tempi; devono essere attraversati dall’intraprendenza, dal coraggio, dall’idea di imprenditorialità e di rinnovamento, altrimenti nella complessa esistenza dell’uomo contemporaneo tutto rischia di apparire monotono, desueto, quasi sonnacchioso. La Festa, insomma, deve riuscire ad attraversare il tempo e le esigenze della gente:pur presentandosi ogni anno identica per lo spirito, deve risultare nuova e coinvolgente, arricchendosi delle aspettative e delle urgenze del territorio.

Passato e futuro debbono intrecciarsi, diversamente si corre il rischio di recitare il solito copione, con un clichè ripetitivo ed ingredienti sempre uguali che non apportano alcun vantaggio alla comunità coratina. Si dovrebbe, a parare nostro, osare di più, facendo proposte ardite, assecondando l’entusiasmo dei giovani, coinvolgendo le associazioni culturali ed ecclesiali in una prospettiva che ci piacerebbe definire “sinfonica”. Così tutti gli sforzi compiuti dal comitato organizzatore e le risorse investite dall’Amministrazione comunale non svanirebbero nel fumo dei fuochi d’artificio o in quattro canzonette, ma contribuirebbero alla promozione di una città che ha un formidabile serbatoio di fermenti culturali, economici ed artistici.

Certamente sentiamo il dovere di esprimere i più vivi apprezzamenti per l’ottimo lavoro profuso da tutto il Comitato organizzatore, presieduto dall’instancabile Angela Pisicchio, che hanno lavorato intensamente per definire e realizzare un programma sobrio, lontano dalle mistificazioni, attento all’aspetto culturale, e a quello più squisitamente religioso. Sorretti da una grande passione per la nostra città hanno presentato un calendario ricco di appuntamenti ed hanno cercato di andare oltre la consueta “tre giorni” e l’abituale canovaccio.

Ci risulta che il gruppo ha lavorato con sintonia ed alacrità, anche se riteniamo rinnovare la proposta del centro Studi Politici “A. Moro” di creare una fondazione non solo per eliminare ogni possibile equivoco, e l’annoso scaricabarile tra gli organismi interessati, ma soprattutto per dare un assetto più stabile al gruppo e per avere punti di riferimento precisi su come gestire la Festa ed estrapolarla da un ambito puramente locale e lanciarla oltre confine.

Com’è noto il sistema dei finanziamenti è bloccato, anche in conseguenza della crisi economica generale. Ma non tutti sono a conoscenza che alle Feste patronali, ai sensi della Legge 19 aprile 1990, n. 84, che

stabilisce il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, di cui al Decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, si applicano gli interventi di tutela e valorizzazione previsti dalla Legge 10/0”1992 n.145 , con un’autorizzazione annuale di 2 milioni di euro.

Per poterne fruire chiediamo, ancora una volta, all’Amministrazione comunale ed alla Consulta della Cultura di stimolare progettualità e di finanziare per tempo progetti innovativi che esaltino la Festa di San Cataldo e vadano oltre i tre giorni tradizionali. Sarebbe anche auspicabile che sull’intero ciclo cerimoniale sul culto del santo, sui luoghi, sulla tradizione popolare ed iconografica, si crei un vero e proprio archivio della e memoria, che inserisca la festa di Corato nel contesto più ampio della cerimonialità meridionale ed italiana; ne faccia, insomma, un momento di conoscenza della ritualità dia altri contesti, cogliendo analogie e differenze, nel tempo e nello spazio.

Alle autorità religiose chiediamo di continuare a salvaguardare il valore primigenio ed autentico dell’evento religioso ed anche di vigilare affinché la Festa patronale non si trasformi in una fiera delle vanità o in una sorta annuale verifica del consenso, o ancora, in un trampolino di lancio di personaggi in cerca dì autore.

Per tutti quelli che continuano a sognare una Festa come uno spazio aperto di espressione e di comunicazione, di creazione e partecipazione, di rinnovamento e promozione, di crescita e di coinvolgimento, l’appuntamento è, speriamo, per il prossimo anno.


Il Partito Democratico ai nastri di partenza

Negli ultimi anni si è fatta sempre più forte la richiesta di partecipazione a tutti i livelli di governo. La democrazia partecipata è diventata una tematica qualificante di molte liste civiche e del centrosinistra nel suo insieme. La vittoria di Nichi Vendola alla Regione, quella di Enzo Divella alla Provincia e di Michele Emiliano nelle precedenti consultazioni elettorali ne sono la prova concreta.

La fase aperta nella nostra città dal Partito Democratico con la candidatura a sindaco di Maria Bovino nel 2003 e quella di quest’anno al Consiglio provinciale, al di là degli esiti finali, ben esprime l’esigenza di una ripresa partecipata del rapporto tra i cittadini e la vita attiva, cioè politica. Credo che molte delle esigenze che il Centro Studi Politici “A .Moro” ha posto sin dal momento della sua costituzione possano ben interagire oggi con questo processo in corso.

Il Partito Democratico coratino sta mostrando chiaramente una strada per giungere ad una ricchezza della democrazia che questo partito programmaticamente assume in carico sin dal suo nome. L’alternanza di donne e uomini nelle liste per l’elezione degli organi statutari a livello nazionale, regionale, provinciale e locale rappresenta un esempio di civiltà, garantisce un rinnovamento della classe dirigente, certo non automatico, ma rivolto verso prospettive di lungo periodo, verso il futuro in mano alle nuove generazioni. Promette, inoltre, insieme ad altre regole costitutive del Partito, di non rimuovere, ma affrontare con misura il problema della personalizzazione nella vita politica, che va contrastata adottando le forme della discussione, della partecipazione e della comunicazione in modo nuovo e non subalterno alla cattiva mediatizzazione della politica.

Alla vigilia di un congresso che vede concorrere alla Segreteria nazionale Dario Franceschini, PierLuigi Bersani e Ignazio Marino e a quella regionale, rispettivamente, Guglielmo Minervini, Sergio Blasi, Enrico Fusco e Michele Emiliano (non sostenitore di alcuna mozione), che rappresentano diverse “anime” politiche e programmatiche, anche i più scettici e distanti devono ammettere che nel PD si sta aprendo un processo che, pur con molte contraddizioni, tenta l’inclusione, parla ai cittadini e fa ricorso ad un meccanismo di elezione attraverso le primarie che anche simbolicamente rappresenta un segno alto della democrazia partecipata.

Auspichiamo nel centrosinistra una discussione serena su questo tema nella convinzione comune che l’aggregazione, collegata alla partecipazione, dà forza alle idee e crea nuovo senso di responsabilità, soprattutto in vista del prossimo rinnovo del Consiglio regionale, che vedrà quasi certamente il presidente uscente confermato alla guida della coalizione e, sperabilmente, del governo regionale.

Siamo sicuri che anche a Corato, si aprirà tra breve un “laboratorio” politico che porti ad innovare i metodi, gli strumenti e le forme della comunicazione e della partecipazione politica. Se si vuole innovare la politica, infatti, bisogna rivedere linguaggi, comportamenti e prassi locali. Non servono le “guerre”, né servono i “generali”. Non servono, soprattutto, eserciti raccogliticci messi su per una “battaglia” contingente facendo leva, magari, sul “pensiero contro” o peggio ancora sullo “scontento”.

La politica non può essere solo un fatto personale, una missione privata. La politica, e quindi anche il governo della nostra città, non può ritenersi forte in rapporto all’energia o ad altre particolari abilità che di volta in volta riesce a sviluppare chi ne assume la guida. Possono diventare forti se c’è una crescita collettiva, se cresce la partecipazione dei cittadini, se si riesce quindi ad incidere strutturalmente su alcuni fattori critici anche di tipo culturale. Il Partito Democratico potrà dirsi innovativo se riuscirà ad assumere queste priorità, senza nostalgie per il passato, né illusioni per il futuro.

sabato 22 agosto 2009

PD: LE 5 PAROLE – CHIAVE DELLA MOZIONE FRANCESCHINI Fiducia – Regole – Uguaglianza – Merito – Qualità



Il PD è stato chiamato a fare un congresso vero, ma soprattutto utile e capace di parlare alle persone per un’alternativa di governo.

Tutti gli iscritti vogliono un partito che coltiva le diversità culturali al suo interno come una ricchezza, ma che cerca e sa trovare anche la sintesi.

Essi chiedono soprattutto un partito aperto, così come è previsto nella mozione Franceschini, che vuole un partito democratico aperto agli elettori, che vede i propri gruppi dirigenti aprirsi a quei giovani e a quelle donne che non hanno appartenenze precedenti e che hanno scelto di cominciare il proprio impegno politico con il PD.

Un partito, insomma, in cui il rinnovamento necessario dei gruppi dirigenti non ha nulla a che vedere col “nuovismo” scelto dall’alto, ma significa valorizzare e investire sull’esperienza e sul radicamento territoriale di amministratori, segretari regionali e provinciali, di coordinatori di circolo, di parlamentari e quadri del partito.

Un partito capace di affiancare nelle sue scelte gli iscritti e gli elettori, attraverso lo strumento delle primarie.

Un partito radicato nel territorio, dove i circoli non siano solo luoghi per misurare i rapporti di forza nei congressi o per comporre organi e giunte, ma che si occupino del territorio e del problema delle comunità locali in cui sono. Circoli come antenne per ascoltare e capire il proprio territorio.

E’ quanto ci si propone anche a Corato con la “Festa Democratica” prevista per il 23 e 24 ottobre prossimi, che, secondo il coordinatore Riccardo Mazzilli, non sarà un convegno o un’adunata di partito, ma un tentativo prezioso di ascoltare la Corato che noi vediamo per strada ogni giorno, quella delle nostre case, delle nostre famiglie, dei nostri figli. Un luogo e un momento utili e importanti per un PD che vuole parlare a tutti e tutti saprà ascoltare.

E’ questo il partito che anche noi del Centro Studi Politici “A. Moro”, nello scenario degradato della vita politica nazionale, vogliamo. Di qui la nostra adesione alla mozione Franceschini che darà al congresso un colpo d’ala, una profonda e significativa svolta in grado di ricondurre al centro del progetto di società qualità spesso additate come vecchi inutili arnesi: il bene comune, la cosa pubblica, il dovere sociale, processi partecipativi all’altezza delle domande che la società produce, la laicità dello Stato, riassunte emblematicamente nelle ormai famose 5 parole-chiave: “Fiducia, Regole, Uguaglianza., Merito, Qualità”.

Lo sviluppo tecnologico e il suo impatto sulle forme organizzative e di comunicazione sociale richiedono un aggiornamento continuo e critico, per il quale non possono restare marginali qualità come la competenza, la cultura, il sapere: strumenti fondamentali per comprendere e costruire il mondo nuovo.

Servono classi dirigenti in grado di “prevedere” il percorso che l’evoluzione sta disegnando per le nuove società; c’è necessità di una sofisticata capacità di analisi orientata e armonizzata in un quadro di grande visione prospettica; occorre essere capaci di individuare oggi i segnali di cosa maturerà domani nel corpo sociale e disegnare, interpretare e correggere le dinamiche socio-culturali per poter intercettare bisogni e necessità che si presenteranno nel futuro.

lunedì 10 agosto 2009

PER NON DIMENTICARE


Inaugurazione Piazza Caduti di Via Fani: non solo miglioramento dell’arredo ma anche “rispetto del decoro e della memoria dei martiri della libertà e della democrazia”.

Come Centro Studi Politici “Aldo Moro”, associazione intestata e ispirata al ricordo e agli insegnamenti dell’on. Aldo Moro, non possiamo che compiacerci ed esprimere la nostra condivisione per il ricordo che il sindaco Luigi Perrone pubblicamente ha voluto manifestare in un comunicato stampa in occasione dell’inaugurazione della bella piazza dedicata ai Martiri di Via Fani, comprendente tanti viali quanti sono i martiri, aperta al pubblico, con la sua presenza, la sera del 9 c.m.

Il riferimento ed il commosso ricordo nel comunicato stampa è andato giustamente ai 5 agenti di scorta all’on. Aldo Moro: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, di cui il 16 marzo scorso abbiamo ricordato il 31° anniversario della strage seguita, dopo terribili 55 giorni, il 9 maggio 1978, dal rinvenimento nel bagagliaio di una Renault 4, in Via Caetani, a Roma, del corpo del presidente della Democrazia Cristiana.

Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e la strage della sua scorta segnano uno spartiacque nella nostra memoria memoria e in quella collettiva degli italiani, dei nostri concittadini non più giovani, condizionando pesantemente la storia successiva.

Toccare questo argomento non è cosa semplice. Ma, affinché il ricordo resti sempre vivo, soprattutto in coloro che non hanno avuto il privilegio, come noi, di conoscere queste vittime sacrificali di una concezione politica terroristica aberrante, è opportuno fare alcune osservazioni e riflessioni.

Non tutti sanno o ricordano che l’avvicinarsi di culture politiche contrapposte da parte di Moro era inteso non come una forma di sopravvivenza politica, ma come una forma di sopravvivenza dell’ideale primario della politica: il famoso bene comune. Per questo l’avversario politico era sempre visto non come un nemico, ma come un portatore di valori concorrenti. Per questo riteneva suo dovere rivolgersi con paziente attenzione alle esigenze e ai bisogni dei singoli.

Allo stato attuale la politica e tutto quello che le è collaterale, non è stata in grado di mantenere vivo nelle nuove generazioni l’insegnamento politico e civile dell’indimenticabile statista.

A distanza di trentuno anni, parlare di Aldo Moro significa parlare di un periodo buio per l’Italia, ma anche del suo contributo di idee, così fortemente ancora attuali, che egli ha offerto all’Italia democratica sin dalla Costituente.

Occorre oggi più che mai mantenere vivo il ricordo di Aldo Moro, non soltanto per evitare il riprodursi di fenomeni terroristici e riaffermare il principio di legalità come criterio cardine dell’azione politica, ma anche per favorire l’affermarsi di un’alta concezione dell’impegno pubblico, il quale non parte da disegni personali di potere, ma da un’elevata coscienza storica della funzione e del ruolo di chi è chiamato a perseguire l’interesse generale.

Di fronte all’attuale, lunga e ancora irrisolta transizione italiana e a nuove forze politiche ancora in cerca d’identità, si avverte la mancanza di una coscienza civile altrettanto alta che permetta di affrontare le sfide dei tempi nuovi.

Nelle generazioni nate all’indomani della sua tragica scomparsa rimane solo un ricordo legato a qualche pensiero oppure a qualche storica foto del sequestro o del corpo crivellato di proiettili rinvenuto nel bagagliaio di un’auto rossa; ma al di là di questo manca la consapevolezza di quanto siano ancora attuali certe prospettive morotee.

E’ oggi responsabilità delle istituzioni ricordare e raccontare ai giovani la figura di Aldo Moro, che fu un dirigente politico di alta ispirazione democratica, in grado di esprimere forza di idee e lungimiranza di visione e assertore del confronto e del dialogo democratico. Il suo insegnamento è inoltre più attuale che mai, dato che, oggi come ieri, è necessario dare vita ad un “nuovo senso del dovere” affinché il sistema politico approdi verso una democrazia reale e compiuta.

Il senso delle commemorazioni, delle intitolazioni di vie e piazze – come giustamente dichiarato dal sindaco – dovrebbe essere indirizzato in questo senso, ma, purtroppo, né la politica, né tantomeno l’opinione pubblica lo hanno ancora a mente e, per questa ragione, si è ancora lontani dal poter dire di aver ereditato un’idea così lungimirante e sana di politica.

Si inizi quindi a raccontare meglio e in maniera più incisiva l’idea morotea dello Stato e della società alle nuove generazioni, soprattutto in un momento di così tale distanza dei giovani dalla politica; si cerchi di ricongiungere al senso civico ogni singola visione della collettività che ogni singolo cittadino possiede, perché solo così si potrà onorare il pensiero di chi ha speso la sua esistenza per il bene comune dell’Italia e dei suoi giovani.

Il nostro augurio è che il ricordo dei Martiri di Via Fani sia di buon auspicio per un confronto costruttivo, non pregiudiziale e ideologico, tra maggioranza e opposizione, a tutti i livelli istituzionali.

Chi oggi giustamente si duole degli eccessi della conflittualità sociale e politica, non può non riscoprire l’inclinazione tutta morotea a privilegiare sempre, anche in termini culturali, le ragioni positive del confronto e del dialogo contro le ragioni irragionevoli del conflitto permanente. Di questo vivono la politica e la democrazia.

Gli amici mortidice il poetaci camminano a fianco, e ci parlano e ci aiutano. Moro è nostro amico, ci cammina a fianco e ci parla. Speriamo che molti sappiano ascoltarlo. Ne abbiamo bisogno.

giovedì 6 agosto 2009

Il sindaco che abbiamo è quello che vogliamo?

Il dibattito politico in corso registra ancora una volta gli interessanti interventi di Gaetano Bucci, Aldo Zucaro e, ultimamente, quello di Giacomo De Lillo che, da diversi punti di vista, analizzano lo stato di salute della politica cittadina e dei suoi rappresentanti a livello politico e amministrativo.

Tutte le le valutazioni di questi attenti osservatori ruotano inevitabilmente attorno alla figura del sindaco Luigi Perrone, di cui rilevano più i difetti che i pregi, nonostante gli riconoscano l’eccezionale successo elettorale, dovuto – a loro dire – alla sua forte carica leaderistica “votata al fare”, fondata sulla fedeltà, l’efficienza, la visibilità e sulla scarsa incisività dell’opposizione. Un’opposizione incapace di organizzare una “resistenza” efficace, limitata a sterili polemiche con il presidente del Consiglio comunale (seguite, per protesta, dall’abbandono del Consiglio comunale) ed a particolaristici comunicati stampa sulle sconfitte giudiziarie (PD), e sui ritardi dell’Amministrazione comunale nella realizzazione di tanti provvedimenti non ancora pienamente realizzati (centro-sinistra).

Queste, in estrema sintesi, le valutazioni espresse da chi non si riconosce nell’attuale maggioranza consiliare e nel sistema di governo del cosiddetto “padre-padrone”.
Lo spazio a disposizione non mi consente di entrare nel merito delle singole valutazioni espresse dai bravi e rari commentatori politici sopraccitati. Ritengo, tuttavia utile fornire su questo secondo punto, ossia sull’identikit del sindaco ideale, anche il mio contributo al dibattito, che mi auguro possa vedere in futuro un maggior numero di partecipanti.

Più che la decisione, la qualità prima che un sindaco, e in generale colui che è impegnato nel servizio alla città, deve possedere è l’ascolto. Le scelte, specie quelle più difficili, devono affondare le loro radici nell’ascolto profondo della realtà. Il sindaco è un crocevia. Nella deriva delle diverse istituzioni politiche tradizionali, il sindaco resta uno dei pochi riferimenti sicuri per la comunità, ben al di là dei suoi già vasti ambiti di competenza. Padre, confessore, garante, potente: nell’immaginario collettivo il sindaco è una figura straordinariamente polifunzionale.

Parlare col singolo cittadino e guardare gli orizzonti della comunità. Freddo e inflessibile nell’applicazione delle procedure amministrative, ma caldo e appassionato nello slancio testimoniale. Non potrebbe sostenere quest’ incessante dilatazione del suo sguardo, non gli sarebbe possibile se non fosse capace di ascoltare profondamente, se non fosse cioè un abituale frequentatore dell’intimità collettiva. Profondamente dentro la città e le sue dinamiche, ma anche oltre, almeno quel tanto di distacco sufficiente ad osservarla nel suo insieme. E’ il più osservato della città, ma anche il suo migliore osservatore.

Non una, ma cento, mille città convivono nella stessa città. Mondi diversi s’intersecano e condizionano in un’intricata rete di relazioni, scambi, culture, stili di vita e anche conflitti. Cento città, ciascuna delle quali pensa se stessa come unica, essenziale, centrale. Che lotta perché il proprio bisogno sia riconosciuto per il suo superiore valore rispetto a quello degli altri.

La città come un campo di forze che si contendono lo spazio fino a raggiungere un equilibrio. Non è sempre facile ottenere che l’equilibrio sia anche giusto. Quando si decide, ad esempio, una zona pedonale non “pesano” nella stessa misura la forza rumorosa, compatta e caparbia dei commercianti e quella debole, frammentata e cedevole dei pedoni. Gli interessi sono l’energia che muove le forze. Non sempre l’identità degli interessi è negativa, cioè con una matrice egoistica. Talvolta, più raramente, l’identità degli interessi può avere una radice ideale: ad esempio, la lotta dei gruppi ambientalisti per la difesa di un’emergenza ecologica del territorio, sarebbe altrimenti soccombente rispetto alla forza espressa da alcuni interessi economici.

La politica è il luogo dove si ricerca il punto di equilibrio “più giusto” tra le “forze” delle cento città. Il sindaco, più in generale, l’amministratore, ne è l’arbitro. Parziale. Sì, parziale, nel senso che non può fermarsi alle esigenze che riescono autonomamente ed esplicitamente ad esprimersi. Deve anche essere, per quanto gli è possibile, in grado di avvertire, scorgere, intuire le voci deboli, la forza fragile, la città ancora sommersa degli anziani, dei giovani esclusi, dei disoccupati, che, priva di microfono, sta dall’altra parte del palcoscenico.

Il sindaco non è un notaio che ratifica l’esistente. E’ un comunicatore. Meglio, un facilitatore della comunicazione tra i gruppi e le persone. E’ un pedagogo della comunità, costruttore di democrazia. Dice a ciascuno dell’esigenza dell’altro. Agevola le relazioni e i reciproci, faticosi, anche conflittuali riconoscimenti. Perché se lo spazio non è sufficiente per il monopolio di una sola città, al contrario è abbondante per le cento città che possono crescere insieme nei diritti e nelle opportunità.

C’è poi un altro sindaco. Altro rispetto alle competenze già eccedenti che le leggi gli attribuiscono. Altro rispetto a colui che si occupa di strade, verde, pubblica illuminazione, edilizia pubblica, pianificazione del territorio, e, perfino dei massimi problemi sanitari della città. Un altro sindaco non codificato dalle norme, che scruta e ascolta le dinamiche che congiungono le modificazioni della città materiale ai cambiamenti della città degli uomini.
Il sindaco, poiché azzarda continuamente previsioni, se non vuole sbagliare molto deve saper ascoltare profondamente le intime connessioni tra le comunità degli uomini: i fittissimi scambi immateriali tra l’ambiente fisico e le persone. Realizzare una piazza o creare un giardino in un quartiere non significa modificare solo la morfologia di una parte del paesaggio urbano, significa restituire opportunità di aggregazione e di socializzazione ai cittadini, modificare il loro stile di vita, intervenire, in ultima analisi, sulle patologie della moderna incomunicabilità.Un parco giochi frequentato da pochissimi bambini e con un tasso elevato di vandalismo (che è indice di dello scarso senso di appartenenza alla comunità), sarà tale fino a quando non saranno i bambini stessi, con un sussulto di democrazia, a indicarne la riorganizzazione dello spazio e delle funzioni.
Insomma, la città materiale non è neutra né incolore. E’ il riflesso della cultura delle “immagini di mondo” della comunità. E’ il modo concreto con cui tutti i cittadini, o meglio, le loro forze organizzate articolano i luoghi in cui vivono.

Il sindaco deve difendere, dunque, con scelte anche drastiche, la voce veramente senza voce che parla il linguaggio del futuro.

Il tempo storico della politica e dei suoi codici. E’ sotto gli occhi di tutti quanto la politica nella nostra città sia in grande e grave ritardo. Ha perso moltissimo tempo. I problemi profondi le sono sfuggiti di mano, occupata in faccende di tutt’altro tipo. Non le sarà facile recuperare il ritardo. Occorrerà molto tempo. E non è detto che ci riesca.

Ricostruire le fratture che separano la politica dai bisogni sociali, dall’economia alla stessa etica, è un’operazione improba. Spesso il sindaco è tentato di eludere il tempo, deve continuamente andare dal tempo lungo delle azioni profonde che cambiano la rotta della vita di una città, al tempo corto delle contraddizioni immediate, le emergenze di cui è riccamente farcita la sua attività quotidiana.

Altro che “governare con intelligenza i fatti “, la politica da tempo non ragiona sui problemi. Amministra ma non governa i processi.
E così al sindaco, nuovo formato stile legge 142/90, è richiesto di riprendere il timone della rotta, senza lasciare però l’equipaggio in coperta, solo nella vita di ogni giorno. E accompagnato, come un’inseparabile fedelissima ombra, dalla sensazione di continua insufficienza rispetto agli arretrati di problemi e di attese accumulate, egli ci rimette tutto il tempo.

Infine, lacerato da questa ineludibile presa diretta con la realtà, non gli resta null’altro del suo tempo. Raccoglie i suoi cocci, senza attendere gratificazioni e riconoscimenti. Gli resta solo il privilegio dell’amicizia intima con la comunità